Non credo sia un caso che la vicenda della Georgia negli ultimi giorni sia stata trascurata dal mainstream, salvo i soliti sussurri e grida sulle elezioni non valide – notoriamente tutte quelle che non vedono vincere le posizioni occidentali – e sul fallimento del golpe colorato che è stato tentato subito dopo il voto. La ragione vera sta nel fatto che non solo è stato sventato il tentativo di trasformare il Paese in una sorta di piccola Ucraina, ma che il voto georgiano è stata una completa antitesi dell’ideologia e della prassi globalista, uno smacco che prefigura una sconfitta globale. Per questo alla reazione durissima esplosa subito dopo i risultati del tutto inattesi visto che nel Paese operano oltre ventimila Ong (vedi nota) tutte finanziate da governi occidentali, dai loro servizi segreti, oppure da oligarchi che formano l’egemonia reale, si è accompagnato un quasi silenzio.

I termini della questione erano semplici: da una parte c’era il Georgian Dream che  ha fatto campagna elettorale forte e chiara per perseguire relazioni di vicinato pacifiche con la Russia che del resto ha unificato il Paese, frantumato in micro staterelli dominati da Persia o Turchia, dall’altra quattro partiti di opposizione praticamente una carta carbone l’uno dell’altro, che hanno decantato legami di integrazione più stretti con la Nato e l’Ue e acclamato i diritti Lgbtq+ (qualunque cosa significhi) che si sono configurati come quelli più accaniti in favore della trasformazione del Paese in un nuovo avversario per la Russia e in sostanza per la guerra. Alla fine, il Georgian Dream ha ottenuto una vittoria sbalorditiva, prendendo quasi il 54 percento dei voti, il che si traduce in  90 seggi parlamentari su un totale di 150, ovvero la maggioranza assoluta. I media occidentali hanno riferito che i “sondaggisti occidentali” parlano di irregolarità nel voto. Ma a parte chiedersi cosa ci facessero sondaggisti occidentali in Georgia se non proprio per fomentare problemi post- elettorali, è vero che ci sono stati fenomeni di acquisto di voti, brogli elettorali e intimidazioni ai seggi elettorali. Ma i video hanno mostrato che gli incidenti erano organizzati dai partiti di opposizione sponsorizzati dall’Occidente, dove la brogliocrazia sta prendendo il posto della democrazia.

Vergognosamente, i partiti di opposizione sconfitti, che si comportano più come quinte colonne che come rappresentanti del Paese, si sono rifiutati di riconoscere il risultato come legittimo. La presidente Salome Zourabichvili (una francese che nemmeno sa parlare il georgiano) ha devastato il suo dovere costituzionale di neutralità politica, accusando Georgian Dream di “rubare le elezioni”. Le è stata concessa un’importante intervista sulla Cnn per spacciare la sua calunnia secondo cui la Russia avrebbe interferito nelle elezioni per ostacolare l’opposizione. Il copione è sempre lo stesso anche quando l’evidenza lo rende ridicolo o insostenibilmente ipocrita.

La vittoria del Sogno Georgiano è stata tanto più significativa in quanto gli Stati Uniti e l’Unione Europea avevano minacciato conseguenze nelle settimane precedenti al voto del 26 ottobre, ma i georgiani hanno preso coraggio e si sono rifiutati di farsi intimidire da tali avvertimenti o sedurre dalle tangenti occidentali. Mi sono dilungato perché proprio la Georgia è in questo momento la linea di faglia tra il potere occidentale e il mondo multipolare che sta nascendo: nel 2003  gli Stati Uniti riuscirono facilmente a imporre un golpe colorato, chiamata  Rivoluzione delle rose, che portò al regime dispotico e corrotto di Mikhail Saakashvili, attualmente in carcere per abuso di potere. Si tratta di un mezzo ucraino che prima di finire in galera è stato governatore dell’Oblast’ di Odessa in Ucraina e che a Tiblisi non ha fatto altro che portare crisi economica e povertà. Ma questa volta invece non è andata così bene: la sconfitta del regime atlantista di Kiev ha fatto comprendere ai quattro milioni di georgiani che l’Occidente non cerca altro che nuova carne da cannone, proprio per nascondere il suo fallimento. Così un Paese si è sottratto al destino di pedina sacrificabile.

Nota La questione delle Ong è davvero un esempio di scuola dell’intollerabile ipocrisia occidentale. Il governo georgiano è stato messo in croce e accusato di misure illiberali per aver approvato una legge che obbliga le cosiddette organizzazioni non governative a elencare i contributi finanziari provenienti dall’estero. Peccato che questa legge ricalchi in maniera quasi esatta, quella esistente negli Usa.

fonte:

Di BasNews

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