Nulla di nuovo sul fronte orientale. Dopo i segnali positivi di un qualche iniziale colloquio Russia-Usa per porre fine alla guerra a Istanbul, iniziative corroborate dalle dichiarazioni di Biden e del generale Milley (che guida l’esercito americano), sembra che tutto sia andato in stallo (sulle trattative segrete, vedi Piccolenote).
Le midterm hanno allontanato la pace
Probabile che l’attentato a Istanbul, avvenuto il giorno precedente l’incontro tra i capi dell’intelligence delle due potenze, il missile sparato sulla Polonia, che avrebbe potuto innescare la terza guerra mondiale, e il bombardamento alla centrale atomica di Zaporozhye, oltre alla visita del premier britannico Sunak a Kiev, abbiano raffreddato le prospettive di dialogo che si stavano aprendo.
D’altronde le autorità ucraine, supportate dai loro sponsor internazionali, hanno continuato imperterrite a ripetere che non c’è altra via per la pace che la ritirata completa dell’esercito russo dal loro territorio, Crimea compresa, richiesta opposta a una proposta di pace, perché è di fatto si chiede una resa incondizionata a Mosca, cosa inaccettabile dalla controparte.
Un massimalismo che richiama quello dipanato nei colloqui per il ripristino dell’accordo nucleare con l’Iran, con la delegazione americana che, cedendo a pressioni esterne, ha avanzato richieste sempre più improbabili a Teheran, allo scopo di mandare all’aria le trattative per poi incolpare la controparte di tale naufragio.
Certo, le prospettive di un fine guerra mediato tra le parti (cioè Usa e Russia, l’Ucraina è solo uno strumento) non sono del tutto affondate, come denota il fatto che a fine novembre russi e americani si incontreranno in Turchia per un colloquio sul rinnovo degli accordi sulle armi nucleari – ambito nel quale si parlerà anche di Ucraina, com’è ovvio – ma tutto, al momento sembra sopito.
Probabile che la spinta verso la pace fosse iniziata anche nell’idea che le midterm vedessero la vittoria dei repubblicani, che avrebbe offerto una sponda forte per ritirare l’America dalla guerra. Ma così non è andata e la maggioranza risicata conquistata dal Gop alla Camera sembra che non possa far molto per frenare, anche se ci sta provando con la proposta di alcuni loro esponenti tesa a limitare il sostegno bellico a Kiev (proposta, peraltro, ridimensionata dai loro stessi compagni di partito, come annota Nbc news).
Ad oggi, si è raggiunto solo l’obiettivo di limitare i rischi di escalation, e già è qualcosa, ma se non si fa nulla, la parola resta alle armi. E alla controffensiva russa, che tutti prevedono abbia inizio in un inverno freddo e buio per l’Ucraina.
Ne scrive anche Luttwak, spiegando che l’esito della controffensiva sarà decisivo per una parte o l’altra, Anche se conclude: “Questo è ciò che accade quando una Grande Potenza ne attacca una più piccola e fallisce: ci riprova, e ancora e ancora”. Non è una bella prospettiva per l’Ucraina.
Il pasticciaccio ucraino della FTX
Né ha avuto un qualche esito lo scoppio dello scandalo FTX, una società di training che gestiva fondi in criptovalute, che con il suo collossale fallimento ha scosso l’America. Il fondo è servito per finanziare la recente campagna elettorale dei democratici, tanto che il suo patron, Sam Bankman-Fried, è risultato il secondo finanziatore del partito dopo George Soros.
A spiegare il ruolo della FTX nella vicenda ucraina è l’ex analista della Cia Larry Johnson, il quale piega come parte dei soldi inviati dall’America all’Ucraina venissero poi investiti “per acquistare criptovaluta da FTX. E FTX, a sua volta, restituiva parte di quei fondi a esponenti del Congresso e del Comitato Nazionale Democratico”. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, una banale corruzione; che però, nel caso specifico, alimenta la macchina da guerra.
E che il patron della FTX avesse un buon rapporto con le autorità ucraine lo documenta in maniera pubblica un convegno che si svolgerà a New York a fine novembre, il DealBook Summit, al quale, oltre ad altre personalità, parteciperà Zelensky e il fondatore di FTX Bankman-Fried (New York Post), la cui presenza probabilmente verrà depennata dopo la disavventura (che i media stanno raccontando in maniera a dir poco non approfondita…).
Insomma, con questa guerra mangiano un po’ tutti in America: il complesso militar industriale, che sta incassando miliardi su miliardi, e i congressman più aggressivi, che da tale complesso prendono soldi in modalità legale (lobbying), mentre in modalità meno legale hanno modo di arrotondare attraverso i tanti rivoli che dall’Ucraina, e da altrove, si riversano verso i centri di potere internazionale ingaggiati nel conflitto in vario modo (media compresi).
I droni controversi e l’incontro per la libertà promosso da George W, Bush
Non stupisce, quindi, che la pace resti un orizzonte lontano, anche se non per questo irraggiungibile. Né che chi muove i fili della marionetta di Kiev gli faccia ripetere a mo’ di mantra che l’unica cosa che serve all’Ucraina sono le armi.
Sul punto val la pena accennare al fatto che alcuni senatori, democratici e repubblicani, hanno inviato una lettera accorata a Biden perché torni indietro dalla sua decisione di non inviare i droni Grey Eagle a Kiev, rifiutati al tempo, nonostante l’esplicita richiesta ucraina, perché hanno una lunga gittata, minacciando così il territorio russo, con i rischi di escalation connessi.
Missiva strappalacrime, quella dei coraggiosi senatori scesi in campo a difesa della libertà della cara Ucraina, ma che sottende una lauta donazione agli stessi dell’industria che li produce, che vedrebbero così pubblicizzati dai media internazionali i loro prodotti, aprendo a essi nuove opportunità di mercato, come accaduto a suo tempo ai Javelin, le cui lodi imperversarono sui media nella prima fase della guerra e ora spariti dai report.
La notazione finale serve a sottolineare che, nonostante la propaganda, non esistono armi magiche in grado di risolvere la guerra in favore dell’Ucraina, e che inviare armi serve solo a prolungare le sofferenze di quel popolo.
Val la pena, sul punto, riferire come Zelensky lamenti che le città ucraine sono al collasso, dal momento che la Russia sta distruggendo tutte le sue infrastrutture, come avevamo annunciato all’inizio della guerra, quando ancora la campagna russa era all’inizio e nessuno aveva preso in considerazione tale banale sviluppo come incentivo per fermare lo scontro.
Peraltro, Zelensky può tirare un sospiro di sollievo perché a sparare sulle sue città non sono gli americani, perché sotto le bombe non cadrebbero solo le infrastrutture e qualche casa vicina a queste, ma le stesse sarebbero rase al suolo, com’è avvenuto in Iraq e altrove.
E a proposito della guerra irachena, il George W. Bush Center ha annunciato solennemente l’incontro che vede fianco a fianco Zelensky, la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen e ovviamente il liberatore dell’Iraq, George W. Bush. Un incontro per promuovere la “libertà”… così è se vi pare.
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