Si è conclusa a Roma la Conferenza bilaterale sulla ricostruzione dell’Ucraina che ha visto coinvolte circa 650 imprese italiane e 150 imprese ucraine.
La Banca mondiale e la Banca europea per gli investimenti hanno stimato un costo complessivo di 411 miliardi da investire nell’arco di dieci anni per rimettere in piedi il Paese devastato dalla guerra.
Un successo diplomatico per Giorgia Meloni, che dopo aver in pratica confermato all’Ucraina il pieno sostegno nel campo militare, ora è pronta a sostenere Kiev anche nella fase di ricostruzione mettendo in campo le migliori competenze presenti sul mercato nazionale. “Parlare della ricostruzione dell’Ucraina significa scommettere sulla vittoria e la fine del conflitto – ha detto Meloni – e sono sicura che il futuro dell’Ucraina sarà di pace, benessere e sempre più europeo». Al primo ministro ucraino, Denys Shmyhal, la premier italiana ha assicurato: “L’Italia continuerà a fare la sua parte a 360 gradi a sostegno dell’Ucraina sul piano politico, militare, umanitario e anche della ricostruzione per alcune infrastrutture strategiche nelle aree liberate e soprattutto per domani».
Il presidente ucraino Zelensky ha inviato un messaggio video alla conferenza e ha detto: “Cara Italia, grazie per aver organizzato questa conferenza per sostenere e ricostruire l’Ucraina. So che i rappresentanti di tante imprese italiane mi ascoltano e vorrei parlare loro non soltanto come rappresentanti del business, ma come genitori, figli, figlie. Noi siamo tutti insieme nel desiderio della libertà, della sicurezza, del benessere per i nostri genitori, per i nostri figli per le nostre città, per i nostri paesi. Di queste vi propongo di parlare, e di come dare più libertà e sicurezza ai bambini, al popolo e alle città ucraine”.
Poi rivolto alla Meloni ha detto: ““Ringrazio tutti voi e personalmente la signora Meloni per il suo sostegno”. La premier italiana dal canto suo si è impegnata per l’ingresso di Kiev nella Ue, come richiesto dal primo ministro Shmyhal.
L’obiettivo dell’Italia secondo fonti accreditate sarebbe quello di ottenere almeno il 10% degli appalti nella ricostruzione dell’Ucraina soprattutto sul piano infrastrutturale, energetico e militare visto che alla conferenza erano presenti in massa i colossi del settore, Eni, Enel e Leonardo.
Ma al di là del successo diplomatico del governo ci sono alcune riflessioni da fare.
Per parlare di ricostruzione post bellica servirebbe far finire prima la guerra, e il conflitto russo-ucraino è ben lontano dal cessare. Russia e Ucraina continuano a combattersi sul campo, e se Mosca da una parte non cede ed è sempre pronta a nuove offensive, sull’altro fronte l’Ucraina continua a resistere e a rispondere al fuoco grazie anche al supporto militare occidentale, Italia compresa. Ora, è vero che se l’Occidente smettesse di aiutare Kiev i russi probabilmente conquisterebbero l’Ucraina, ma è altrettanto vero che il continuo invio di armi non fa che allungare i tempi della guerra. Nessuno sta dicendo che gli ucraini devono essere abbandonati al loro destino, ma prima di pensare alla ricostruzione forse sarebbe il caso di tentare la via della diplomazia, cosa che nessuno in Europa sta facendo, tantomeno l’Italia che anzi, prima con Draghi e oggi con la Meloni, è sempre più allineata alla politica anti-russa dalla Nato.
L’unico attore internazionale che in questo momento è impegnato sul fronte diplomatico è la Cina che però può svolgere questo ruolo di mediatore proprio perché super partes (nonostante la narrazione Usa voglia accreditare Pechino come alleato di Mosca), visto che non ha fornito armi a nessuna delle parti in causa. L’Europa invece, scegliendo subito la via del sostegno militare e della guerra economica a Mosca si è preclusa a priori la possibilità di essere un interlocutore nel campo della diplomazia. Ruolo che finora hanno giocato altri attori, la Turchia prima e appunto la Cina oggi. Quindi, come si può parlare di ricostruzione con un conflitto che sta andando avanti sempre più cruento e che nessuna delle parti in causa intende cessare? E non è un paradosso parlare di ricostruzione nel momento in cui si continuano ad inviare armi che stanno allungando i tempi della guerra? Del resto lo stesso Zelensky intervenendo ieri alla conferenza ha riconfermato che l’obiettivo adesso è difendere l’Ucraina, al punto che il suo messaggio alle imprese è apparso molto chiaro: “Prima di pensare a fare affari sulla nostra pelle, aiutateci a vincere”.
Altro dettaglio non da poco: più la guerra andrà avanti, più le distruzioni proseguiranno, quindi il costo della ricostruzione finora stimato nell’ordine dei 411 miliardi sarà inevitabilmente destinato a lievitare. E chi dovrà farsi carico della spesa? Naturalmente il grosso toccherà proprio all’Europa visto che l’Ucraina dovrà entrare nell’Unione, un’Europa che in pratica si sta dando la zappa sui piedi: avrebbe tutto l’interesse a chiudere il conflitto al più presto per contenere i costi della ricostruzione già abbondantemente elevati, invece sta facendo di tutto per ottenere l’obiettivo inverso: ovvero proseguire la guerra nella pia illusione di piegare la Russia e restituire a Kiev i territori annessi da Mosca.
Secondo aspetto: dove stava l’Europa nel bilaterale di ieri? Si può parlare di ricostruzione al di fuori di una cornice europea? L’Italia ha senz’altro fatto bene a mettere le mani avanti, ma come spesso è avvenuto in contesti che vedono coinvolti gli Stati Uniti e gli altri paesi Ue, difficile credere che l’Ucraina un domani potrà essere estremamente generosa con noi nel momento in cui entreranno in gioco le aziende americane, tedesche, inglesi e francesi. Quindi alla fine il rischio è quello di doverci fare carico economicamente della ricostruzione quali membri Ue, ma con un guadagno tutto sommato minimo per le nostre aziende. E il fatto che la Ue sia stata la grande assente ieri a Roma la dice davvero lunga. Se il buongiorno si vede dal mattino c’è poco da stare allegri, e i ringraziamenti di Zelensky potrebbe risuonare un domani come una beffa.
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