L’intervista allo zar indica che ormai nell’Impero – Usa – si gioca a carte scoperte. La corsa di Trump continua a vele spiegate. La “gaffe” di Biden
Tucker Carlson, l’anchorman più seguito d’Occidente, ha intervistato Vladimir Putin. Probabilmente sarà l’intervista più seguita dell’anno, data la rilevanza. In attesa di ascoltarla, si può anticipare che Putin avrà lanciato un messaggio distensivo all’Occidente, altrimenti non l’avrebbe accettata; ed è possibile che ricordi quanto avvenuto nel marzo del 2022, quando Mosca aveva finalizzato un accordo con l’Ucraina, fatto saltare dai bellicosi alleati di Kiev.
La corsa di Trump e i rovesci della Haley
Coraggioso Carlson, che in tal modo si è attirato ancor più l’odio dei neoconservatori. Allo stesso tempo, con questa mossa sembra tirarsi fuori dall’agone politico: difficilmente sarà lui il vicepresidente di Trump, possibilità ventilata dallo stesso Tycoon poco tempo fa. Il suo ruolo resterà quello di voce del trumpismo moderato (quello più prossimo a Trump, molto diverso da quello di Bannon & company).
Quanto a Trump, la sua corsa continua a vele spiegate. La sua rivale Nikki Haley inanella rovesci a catena. Di ieri il primo caucus del Nevada, solo simbolico perché le sorti delle primarie di questo Stato saranno decise nel secondo caucus, dove si assegneranno tutti i delegati in palio.
Insignificante, ma insieme significativo il voto di ieri, perché gli elettori dovevano fare la croce sulla Haley o sulla dizione “nessun candidato”, con la Haley che ha preso solo il 30% dei voti contro il 60% di voti per “nessun candidato” (nel GOP sono diventati ironici).
La Haley non demorde nonostante non abbia alcuna possibilità, nella prospettiva che il rivale sia fermato per via giudiziaria o altro. Ma, finché è vivo, Trump rafforza la sua presa sul partito: di oggi la notizia delle prossime dimissioni della presidente del GOP, Ronna McDaniel, sua antagonista.
L’intervista a Putin e l’appello di Trump ai repubblicani
Se leghiamo l’intervista di Carlson a Putin alle vicende di Trump non è solo per la prossimità tra il cronista e il Tycoon. L’intervista allo zar indica che ormai nell’Impero si gioca a carte scoperte. Non per nulla, poco prima dell’intervista di Carlson, Trump ha lanciato un appello ai repubblicani del Congresso affinché non approvino la legge sugli aiuti all’Ucraina (sul punto rimandiamo alla nota a piè di pagina).
Ormai si combatte senza infingimenti: Trump si pone come l’unico argine ai neoconservatori e alle loro guerre infinite – missione che si era riproposto Biden, ma alla quale ha mancato per debolezza, ricatti e tragico deficit di lucidità – e come freno alla prospettiva di una guerra globale.
Quest’ultima possibilità è più reale che mai perché il Progetto per un Nuovo secolo americano, nel quale furono delineate le guerre infinite come mezzo per prolungare l’egemonia Usa nel mondo, è ormai obsoleto, essendo stato varato nel 2000.
Da allora il mondo è cambiato: le guerre regionali sono diventate molto più impegnative – vedi lo scontro con gli Houti – e i rivali globali non possono più essere costretti a un ruolo secondario nell’agone globale.
L’ostinazione dei neocon nell’applicare un piano elaborato più di vent’anni fa è folle e pericoloso a livello globale, com’è evidente nella guerra ucraina e in quella mediorientale.
Tale la situazione attuale, tale lo scontro in seno all’Impero, che rende obsoleti i vecchi schemi di un conflitto tra populismo-autocrazia-caos contro democrazia- autocrazia- regole. Tale schema ha rivelato tutta la sua falsità a Gaza.
Ci sarebbe da spendere due righe sulla più immaginifica gaffe di Biden, il quale alcuni giorni fa ha dichiarato che “Trump è il presidente in carica“, ma evitiamo per non urtare ulteriori schematismi.
Nota a margine. I repubblicani hanno chiesto che gli aiuti a Kiev fossero cumulati ai finanziamenti per rafforzare i confini degli Stati Uniti, sui quali si sta consumando uno scontro tra questi e i democratici, con alcuni governatori degli Stati repubblicani (in primis il Texas) che hanno mandato proprie forze a presidiarli resistendo alle pressioni dell’amministrazione Biden perché restassero aperti (posizione che Biden ha ammorbidito, ma…).
Da qui l’accorpamento dei due finanziamenti, con legge portata all’approvazione del Senato, alla quale l’amministrazione Biden ha voluto aggiungere anche i cosiddetti aiuti per Israele, da cui una norma monstre che assomma a 118 miliardi di dollari.
L’ultimo accorpamento è risultato indigesto ai repubblicani di rito neocon e loro affiliati, i quali chiedevano che fosse staccato dagli altri, ma sul punto la Casa Bianca è stata irremovibile, minacciando di porre il veto a una legge che preveda solo aiuti a Israele (una legge in tal senso è stata appena bocciata dalla Camera con voto contrario di tutti i democratici e 14 repubblicani).
Così la norma monstre sui finanziamenti è ora al centro di un fuoco incrociato, con i repubblicani che minacciano di non votarla per gli aiuti all’Ucraina (e lamentele minori) e i democratici fermi sul niet a una norma ad hoc per Israele. Complessità interessante.