Il “Modello-Italia”, pensato e affermato dalla premier Giorgia Meloni, indubbiamente sta rimettendo il nostro Paese al centro dell’attenzione internazionale. Che sta aumentando in considerazione rispetto alla Ue, agli Usa, all’Africa, in un crescendo di credibilità e autorevolezza. Lo si è visto anche a proposito del caso-Zaki.
Solo la sinistra politica, culturale e mediatica, nega ad esempio, i risultati della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni.
E solo la sinistra titola, a proposito delle elezioni anticipate in Spagna, che il “Modello Italia” è stato bocciato alle urne.
Andiamo per ordine. L’anticipo era stato voluto dal socialista Sanchez, in crisi dopo la vittoria del Partito popolare alle consultazioni regionali e comunali del 28 maggio (il voto era previsto per fine anno). Ed è ovvio che la sua strategia fosse tentare il recupero dal punto di vista emotivo; da qui la drammatizzazione della campagna elettorale: se vince la destra è la fine della Spagna così come l’abbiamo costruita, fine del nostro ruolo a Bruxelles (la Spagna ora ha la presidenza del Consiglio dell’Unione) e la fine della stessa Ue.
Bisogna vedere poi, quale sia questa fine. Visto che l’economia iberica non va male, la svolta regionale a destra indubbiamente poneva, come continua a porre, una questione di valori. E’ indubbio che ci siano ormai due Spagne, una sorta di riproposizione della guerra civile: una Spagna conservatrice, legata ai principi naturali, alla famiglia, alla patria e una Spagna ultra laicista, laboratorio Lgbtq, liberal e radical. Con una monarchia sempre più in difficoltà, nel difficile lavoro di armonizzazione e conciliazione istituzionale, autonomie e separatismi compresi.
E infatti, il voto di ieri ha confermato la spaccatura. Ha vinto la destra, ma non ha sfondato. Secondo i dati diffusi dal ministero dell’Interno, l’affluenza finale alle elezioni è stata del 68,49%; 2,26 punti in più rispetto alle votazioni del 2019.
Ecco i risultati: il Partito popolare ha aumentato il suo vantaggio sul Psoe del premier uscente Pedro Sanchez. Nessun partito da solo è arrivato alla maggioranza assoluta di 176 seggi su 350, ma anche le alleanze Psoe-Sumar e Pp-Vox sono lontane dalla soglia.
PP: 136 seggi, PSOE: 122 seggi, Vox: 33 seggi, Sumar (coalizione di sinistra): 31 seggi.
I due partiti catalani hanno ottenuto complessivamente 14 seggi (7 a testa): 7 Esquerra Repubblicana de Catalunya (sinistra) e 9 Junts per Catalunya.
Una conferma e una flessione a destra. Il Pp di Alberto Nunez Feijoo è il primo partito, come abbiamo visto, Vox (il partito molto stimato dalla Meloni) ha perso consensi.
Adesso il tema è complesso e tutte le opzioni sono possibili. Vox con i suoi 33 seggi, sommati a quelli del Pp, consentirebbe alla destra di arrivare a 169, ovvero 7 in meno rispetto alla maggioranza assoluta di 176 deputati. Sumar, a sinistra, stando a quota 31, e insieme al Psoe, consentirebbe di arrivare a 153 seggi, e potrebbe giocare la carta di un accordo con i partiti catalani e baschi. Ma anche per la sinistra quota 176 è lontana.
Ma nessuno avrebbe quella maggioranza stabile per governare. Le coalizioni, al massimo, potrebbero dar vita a esecutivi di minoranza.
Che deciderà re Felipe? Del resto, “governi-anatra zoppa” in Spagna non sono una novità.
Al momento il leader del Pp ha detto chiaramente che è suo dovere provarci.
Ma il messaggio europeo resta: la destra ha prevalso e la sinistra si aggrappa ai numeri di un sistema elettorale che non ha previsto il premio di maggioranza.
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