Il senatore PD Dario Franceschini proporrà l’obbligo per i nuovi nati, se la proposta di legge dovessere essere approvata, di portare solo il cognome della madre. Con tale innovazione si vorrebbero risarcire le donne dei secoli bui del maschilismo e del patriarcato. Ancora una volta siamo dinanzi a forme di semplicismo ideologico. Le donne operaie e impiegate tormentate da una condizione lavorativa sempre più precaria e alienante andrebbero risarcite con un lavoro dignitoso esattamente come gli operai e gli impiegati. Risarcire con l’obbligo del solo cognome materno non può che essere un gesto in linea con il “politicamente corretto”, in quanto la condizione delle subalterne non cambiarebbe di un’oncia.  Puo solo peggiorare, si può ipotizzare, la relazione tra gli uomini e le donne, poiché i processi di colpevolizzazione sociale entrano nella vita sociale e scavano fossati tra i coniugi. Nello sguardo di una donna, in questo contesto, anche il migliore degli uomini è parte di una storia di sfruttamento; invece, dobbiamo rammentarlo, un operaio è sfruttato e non è uno sfruttatore. Nella giornata dell’annuncio della proposta tre uomini sono morti sul lavoro. Per questi uomini che hanno perso la vita nessuna forza politica ha proposto un risarcimento. Si predilige continuare a colpevolizzare gli uomini, senza mettere in discussione il sistema e senza ricercare le cause profonde del “malessere”. Non esistono gli uomini e le donne in generale; il materialismo ci ha insegnato che gli esseri umani hanno responsabilità politiche e sociali in relazione al ruolo occupato nella struttura economica. Le donne da risarcire sarebbero in tal modo “tutte, in generale, a prescindere dalla condizione sociale”; le sovrane o le capitaliste sono, così, equiparate alle operaie.

Il medesimo discorso vale per gli uomini. Le generalizzazioni servono a non far emergere il vero problema: il capitalismo. Dare il solo cognome della madre è ingiusto in sé, giacchè il figlio ha due genitori, ma la riforma non muta nulla e lascia le donne operaie, precarie e impiegate sotto il giogo dei padroni, uomini o donne che siano. Le donne braccianti, contadine e operaie sono state rese “mezzi da usurare e poi gettare” dal sistema capitalistico e non certo dagli “uomini in generale e in quanto tali”. Gli uomini che oggi 25 marzo hanno perso la vita sono vittime di un sistema che non mette in campo i mezzi necessari per salvaguardare le vite dei lavoratori e delle lavoratrici. Nel mese di gennaio 2025 i morti sul lavoro sono stati 110, se si sommano i morti sul posto di lavoro (83) con quelli in itinere. Quale risarcimento meriterebbero gli uomini e le donne che sono stati stritolati da un sistema di sfruttamento? In tutto questo le donne sono state consultate?  

L’unico dato è che la lotta di classe è stata sostituita con l’ideologica lotta tra i generi e in tutto questo i precari sono dimenticati, mentre le oligarchie possono rinsaldare il loro  potere e produrre armi per i loro giochi di dominio. Nel frattempo i salari possono continuare la loro discesa e i diritti sociali a scomparire.

Salvatore A. Bravo 

fonte:

Di basnews

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