“Definire significa pensare i concetti” per poter porre in atto la prassi. Non c’è rivoluzione senza teoria (Lenin), ogni azione contestatrice senza concetto-definizione non può che rafforzare il sistema capitalistico, in quanto non ha la chiarezza dei fini oggettivi entro i quali ricostruire un nuovo ordine politico e filosofico. Il capitalismo nell’attuale fase apicale è “sistema di guerra in micro e in macro” fondato sulla egocrazia. La guerra che si materializza nella competizione sociale e internazionale per il saccheggio delle risorse non è solo un mezzo, ma è anche il fine che diviene il mezzo in un automatismo circolare che si innalza verso forme sempre più autodistruttive e distruttive. Capitalisti e subalterni incorporati nel sistema sono i servi di un culto di guerra che non conosce dogmi ma solo pratiche di guerra. Nel suo grembo il capitalismo è sempre stato un sistema di guerra, nel quale il potere e la negazione dell’altro sono state, sempre, le sue caratteristiche essenziali. Il plusvalore come fine è quasi la sovrastruttura malvagia con cui si vuole celare la verità: liberalismo e guerra sono sinonimi inscindibili. L’accumulo a cui si aspira non ha misura e limite, pertanto è il sistema guerra che prevale sul plusvalore. La violenza è l’irrazionale che svela quanto la razionalità del capitalismo nasconda nel suo “ventre disgregatore” l’irrazionale-razionale.
Il capitalismo, se analizzato nelle sue azioni e operazioni a stretto raggio sembra razionale, poiché l’agire calcolante è leggibile attraverso l’utile. Se si amplia il raggio d’analisi è palese che la logica dell’utile e della razionalità si eclissano nella razionalità che annienta esseri umani, risorse e natura fino a minacciare la vita nella sua totalità. Ciò che regge il capitale, non è dunque il plusvalore, ma la guerra come affermazione dell’egocrazia. Quest’ultima è la manifestazione del liberalismo, poiché la libertà è intesa come liberazione illimitata da ogni vincolo etico e sociale. L’egocrazia si manifesta in due livelli che si intersecano. Il micro è costituito dalla società civile nella quale l’accesso al mercato è lotta di tutti contro tutti. Il neofemminismo liberale e l’emancipazione delle persone omosessuali sono accumunate da un medesimo paradigma: libertà è individualità che nega la socialità e i limiti etici. Femminismo e persone omosessuali sono strumenti di affermazione dell’egocrazia, ovvero le individualità sono accettate e incluse nel sistema, si affermano soggettività senza comunità e in perenne stato di metamorfosi al fine di rispondere al sistema di guerra del capitalismo. La società dello spettacolo insegna le metamorfosi, essa è la paideutica che prepara alla guerra. L’egocrazia è sempre in vetrina, assume forme differenti al fine di sedurre per dominare. Le donne liberate dal vincolo della maternità sono il segno più evidente di tale logica della guerra perenne. La maternità è sospensione della produzione e, specialmente, è dono gratuito nella stabilità relazionale. Tutto questo è rimosso dall’orizzonte di senso. Una donna lavoratrice, come madre reale e potenziale, porta sul luogo del lavoro la sua umanità, tutto questo è un limite per il sistema di guerra che esige nella sua fase imperiale solo militanti del liberalismo disponibili a rendere reale la guerra. Mercificare è guerreggiare. Chi mercifica entra nel mercato con l’intento di conquistare. Il diritto diviene, in tal modo, la parola suadente con cui i vincoli sociali sono superati e si è incorporati nel sistema. L’incorporazione dei subalterni rimuove le contraddizioni e, in tal maniera, un sistema di guerra, in cui un lavoratore o una lavoratrice è povera, malgrado ciò, può continuare la sua corsa verso la guerra totale.
In un sistema inquietante e depressivo di tal genere i rapporti e le relazioni fra gli Stati non possono che essere finalizzati alla guerra. I rappresentanti dello Stato sono la materializzazione dell’egocrazia, sono la sua compiuta peccaminosità espressa in modo esponenziale. La lotta tra i Titani del nostro tempo è la guerra divenuta l’unica logica che muove il sistema che rischia di implodere per le violenze che scatena e per le burrasche che esso stesso ha causato. Le scelte in politica estera e interna, malgrado l’apparente durezza adamantina, sono fragili, in quanto la guerra reca con sé innumerevoli variabili non contemplate. Il sistema di guerra è nei fatti ingovernabile, pertanto si aprono improvvise possibilità per capire l’irrazionalità-razionale del capitalismo di guerra totale e per agire al fine di progettare mediante la mobilitazione nuove forme di comunismo libertario ed etico.
Il sistema di guerra è “incontro senza incontro”, poiché l’altro è sempre negato, in quanto prevale l’affermazione egoica del soggetto che si percepisce libero solo nelle relazioni di dominio e di potere. Il comunismo che verrà e, che già si prepara, dovrà essere “comunismo dell’incontro”. Il comunismo dell’incontro non è pacifismo sentimentale, ma tensione dialettica capace di risolvere urti e contraddizioni nella chiarezza che l’umanità è per natura sociale e solidale e tale finalità è concretizzabile solo nella consapevolezza sociale di coloro che hanno subito il sistema di guerra e di sangue del capitalismo. Libertà e uguaglianza è riconoscimento della pari dignità di ogni essere umano nella differenza. Le vittime del sistema mediante i processi politici di prassi dovranno riscattare il passato con le sue vittime mediante la memoria comunitaria che si trasforma in condivisione e in giustizia sociale. Il sistema di guerra con il suo “incontro senza incontro” e con le annesse lacerazioni pone le condizioni per superare l’incorporamento e riconfigurare le relazioni umane reificate. Il primo passo verso tale finalità è nella quotidiana operazione di denuncia del sistema di guerra. Nessuno può rassicurarci sul risultato finale, ma nella lotta contro l’animalizzazione e contro la negazione della condizione umana si diviene soggettività politica che pone in essere i processi di umanizzazione, in quanto l’egocrazia è già superata nell’impegno gratuito e nella cura dell’altro. Ogni comunista è scandalo per il mondo e questo scandalo-inciampo può essere l’inizio di un altro modo di esserci.
Salvatore A. Bravo
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