di Gennaro Giansanti
Commemorare il 41° anniversario dell’evento sismico del 23 novembre ‘80, non è solo preservare la memoria di una tragedia dagli effetti devastanti, sia per la perdita di vite umane che per la devastazione di un tessuto urbanistico che ha interessato 687 Comuni (542 campani – 131 lucani – 14 pugliesi) su un territorio di circa 17000 km quadrati, ma la necessità di non sottovalutare gli altrettanti effetti devastanti provocati dall’allegra gestione di ingenti risorse finanziarie tra clientelismo, sprechi, incapacità di spesa e ingerenze criminali, che hanno fatto lievitare a occasione di rilancio sociale politico ed economico, diventi, al contrario, occasione virtuosa per cittadini disonesti, imprenditori senza scrupoli e per la criminalità organizzata, che ci sguazza in ogni circostanza che lo Stato emette enormità di flussi finanziari.
Riflettere su quanto è accaduto in relazione ai dieci eventi sismici più disastrosi degli ultimi 53 anni, da quello del Belice, (1969) poi Friuli, Irpinia, S. Donato Val di Cosimo, Carlentini, Umbria e Marche, Molise, L’Aquila, Reggio Emilia fino a quelli dell’Appennino dell’Italia centrale (2016-2017), dove, secondo alcune stime il flusso di denari è stato pari a 140 mila miliardi di Euro. Una riflessione doverosa della parte sana della società civile, della politica e delle Istituzioni, affinché si producano gli anticorpi necessari per il corretto utilizzo del denaro pubblico e per contrastare il malaffare anche in vista degli enormi flussi finanziari, (222,1 ML) previsti dal (P.N.R.R.) Recovery Fund, messi a disposizione dall’Europa per far fronte ai disastri provocati dalla pandemia da Covid 19, rispetto ai quali va esercitata la massima trasparenza e vigilanza affinché non si ripetano gli errori delle tragedie di cui sopra. Per stare al sisma dell’80, la ricostruzione non è ancora completata, un fardello che ancora oggi grava sulla collettività attraverso le accise sulla benzina e non solo, per oltre tre decenni sono stati erogati enormi flussi finanziari, in ordine di tempo, risale al bilancio dello stato del 2006, una delle ultime tranche di 157 milioni e mezzo da spendere in 15 anni fino al 2021. Dal canto suo, la Regione Basilicata nel bilancio 2016 prevedeva 10 milioni di Euro da dividere per otto Comuni gravemente danneggiati, una erogazione dal sapore elettoralistico, tra questi, al Comune di Rionero in Vulture toccarono 300 mila, una manciata di Euro insufficiente a risanare le abitazioni che attendono da 41 anni il loro turno. Intanto, in questi ultimi anni nessuna unità abitativa, di quelle rimaste da ristrutturare ha avuto ristoro, anche al fine di migliorare il decoro urbano. Anzi, la loro dislocazione nei vari quartieri, insieme ai Palazzi Gentilizi di Giannattasio, Ciasca, Taverna Penta ecc. in pieno centro storico, sono invasi da merli e piccioni, nonché avvolti da sterpaglie, rovi e cespugli vari, sono lì a rappresentare lo scempio più indecoroso della Città. Nell’ultima tornata elettorale del 3 e 4 ottobre u.s. nessuna delle cinque liste in competizione aveva nel proprio programma un progetto complessivo per porre fine a tale scempio, per risanare non solo i Palazzi Gentilizi, ma soprattutto quelle unità abitative danneggiate dal sisma a partire dai quartieri storici, in un quadro complessivo di riordino del tessuto urbanistico della Città. Nessuna delle cinque liste, compresa quella che ha vinto le elezioni, ha prestato attenzione, ad esempio, ad un bellissimo agglomerato di case danneggiato dal terremoto, situato fra Via Ponte di Ferro, Via Santa Teresa, e Vico VI San Martino, lasciato in uno stato di totale abbandono. Ora, si tratta solo di ruderi che hanno resistito alla prova d’urto del terremoto e alle intemperie del tempo trascorso, ancora resistono, a testimoniare una tipologia di abitazioni tipiche di quelle contadine, alcune conservano ancora attrezzi e mangiatoie per gli animali. Forse è questa l’occasione più propizia per proporre al Sindaco Di Nitto e alla nuova Amministrazione, di fare di quei ruderi il “Villaggio della Civiltà Contadina, ristrutturandoli senza nessun stravolgimento degli aspetti architettonici, in un quadro di riqualificazione urbanistica che dia decoro alla Città.