Lo so, la notizia di oggi è l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, che non costituisce soltanto una frattura nelle linee di potere reale in Occidente ma che simbolicamente rappresenta la fine dell’ordine mondiale così come è stato inteso sin dalla fine della seconda guerra mondiale. E in questo senso è un passaggio estremamente importante. Intendiamoci, non so – e probabilmente nessuno lo sa, lui compreso – se The Donald accetterà di inserirsi nel nuovo mondo che si va creando o se cercherà alla fine di difendere fino all’ultimo l’unipolarità statunitense insieme alla narrazioni, il sangue, gli inganni e i miti su cui essa si regge. In questo flusso della storia divenuto ormai evidente, può cercare di opporsi, tragicamente per tutti, oppure può assecondare la direzione degli eventi e fare degli Stati Uniti una grande nazione fra le altre e non più un impero che non ha più la forza economica e militare di sostenersi come tale.

Quale sarà la parte che sceglierà sarà evidente fin dai primi mesi sulla questione dell’Ucraina: questa guerra ha infatti determinato il crollo definitivo di quell’ordine mondiale nel quale l’Occidente, ma sarebbe meglio dire, l’estremo Occidente, ha puntato gran parte delle sue fiche per rimanere il sella al mondo pur senza avere più le possibilità reali di mantenere questo ruolo. È vero, una propaganda pervasiva, ancora in circolo come una droga, ha fatto credere il contrario tanto che ancora oggi sentiamo dichiarazioni di una guerra che palesemente non siamo in grado di combattere e che soprattutto i cittadini non vogliono combattere. Dunque se Trump vorrà usare il solito manganello assieme alla minaccia economica, come è sempre avvenuto praticamente da oltre un secolo, si ritroverebbe presto fuori passo con un mondo non più intimidito e impotente di fronte alla prepotenza dell’Impero. Un mondo che ha trascorso anni a costruire reti di supporto tra i suoi membri più oppressi per promuovere la resistenza di fronte all’aggressione degli Stati Uniti, un mondo non più deferente, che considera ormai provocatorie le tattiche di sempre.

Finora non abbiamo elementi per capire su quale campo deciderà di giocare Trump, abbiamo soltanto la caduta di qualsiasi ipocrisia rispetto all’avidità dell’impero e possiamo solo sperare che le rivendicazioni su Canada, Groenlandia, Panama, siano un modo piuttosto aggressivo e tracotante di dire che gli Usa vogliono mantenere il loro imperio sul continente americano, magari alleggerendo la stretta altrove. Però si tratta di mere ipotesi, perché tutta l’economia americana è fondata sulla dittatura mondiale del dollaro e senza di essa crollerebbe come un castello di carte.

Ma il cambiamento delle cose è più evidente al di fuori della cerimonia di insediamento dove si conteranno presenti ed assenti, deducendone il futuro con un po’ di chiromanzia mondana. Esso è più evidente al di fuori delle formalità ufficiali, per esempio, grazie a quella che viene chiamata “Grande crisi dei rifugiati di TikTok”: venuta dopo dopo la decisione dell’amministrazione Biden di mettere al bando negli Usa questo social dell’arcinemico cinese. Pechino, per tutta risposta, ha aperto anche alle numerazioni telefoniche occidentali alcune delle sue più grandi piattaforme di social media come RedNote ( traducibile come Libretto rosso) e Douyin. Questo ha consentito ai navigatori occidentali, specie quelli più giovani, di sperimentare la cultura cinese in prima persona, senza le adulterazioni dello Zio Sam o dei coloniali europei. I risultati sono stati a dir poco clamorosi: non solo in pochi giorni ci sono state milioni di iscrizioni provenienti dagli Usa, ma i giovani e meno giovani americani hanno potuto constatare in prima persona che il cosiddetto “Occidente libero” è in realtà una prigione e sono invece l’Oriente e il Sud del mondo che ora godono regolarmente di più libertà e di meno repressione generale quanto meno in questa sfera. Del resto chi, come il sottoscritto, frequenta regolarmente l’informazione russa e cinese, si rende conto che il livello del dibattito pubblico è molto più ampio e variegato di quanto non avvenga da noi dove abbiamo megafoni che ripetono sempre lo stesso messaggio, come in un grande campo di rieducazione di Pol Pot.

Non è una sorpresa per chi si è reso conto del gigantesco trasferimento di risorse dai ceti popolari a quelli più ricchi, anzi a un numero sempre più ristretto di oligarchi, avvenuto in grande stile nel mezzo secolo precedente. Ciò ha avuto bisogno di ogni illusionismo possibile, della padronanza dei media, dell’infiltrazione di burattini nella politica, di pseudo valori e ideologismi per coprire il furto di diritti reali. Una sorta di dittatura estesa, confusa con la democrazia in cui è possibile far credere tutto e il contrario di tutto.

In questo senso la brutale mancanza di finzione di Trump è in qualche modo rivoluzionaria, scopre i nervi dell’impero, ne denuda le linee di forza: di fatto l’effetto Trump come elemento di frattura è di gran lunga più importante del personaggio in sé che oggi sale ufficialmente in cattedra.

fonte:

Di basnews

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