Salvatore A. Bravo 

Il Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici e degli odontoiatri a seguito degli atti di violenza contro i medici e sanitari ha dichiarato:

 “È necessario che ora questa attenzione si traduca in un Decreto-legge, che definisca una serie di iniziative operative e normative, a carattere d’urgenza, che comprendano, oltre a sistemi di videosorveglianza, anche procedure di controllo e regolazione degli accessi alle strutture sanitarie e sistemi a garanzia della tutela personale degli operatori”.

La via repressiva non solo non risolve il problema, al massimo può limitarlo, ma specialmente non è d’ausilio per comprenderlo. La violenza contro le istutuzioni,  scuola e sanità,  è sempre più diffusa, in un paese normalmente democratico l’opinione pubblica e la politica si chiederebbero il “perché” di tale problema. La via repressiva limita i sintomi della patologia in corso, ma non risolve il problema. Negli ultimi anni sembra che la nazione tutta, o quasi, non voglia indagare le motivazioni profonde dello sfacelo delle relazioni  tra operatori pubblici  e cittadini.  Cercare una risposta non è poi così arduo: l’aziendalizzazione delle istituzioni ha trasformato i medici da uomini dediti alla cura dei pazienti in professionisti che tra tagli e riduzione delle spese sono divenuti parte di un’istituzione che ha il fine di far quadrare i conti. I pazienti sono ormai considerati clienti, per cui è il denaro a stabilire la qualità del servizio che si compra. La salute come la formazione sono mercificate. L’aziendalizzazione ha al centro la finanza e non certo il paziente. Gli stessi medici pubblici sono in parte vittime del sistema. La salute ha un prezzo, dunque, per cui, non la persona, ma i costi della cura sono primari, pertanto i pazienti percepiscono il cambiamento in atto e sanno bene che è il denaro a stabilire l’efficiente fruizione del servizio. Si è  numeri e non persone, e i numeri sono trattati con distanza.

Nel pubblico il numero dei medici è inadeguato, per cui il ritmo lavorativo non consente – si può ipotizzare – di guardare e indugiare sui pazienti e sulle loro famiglie, specie nelle situazioni difficili. La burocratizzazione finanziaria ha i suoi tempi, per cui il paziente con i suoi famigliari sente di non essere riconosciuto in un momento di estrema fragilità. In questo clima di pressione l’insoddisfazione può tradursi in violenza irrazionale. La sfiducia crea abissi e contrapposizioni tanto più che spesso il paziente che si reca nelle strutture pubbliche sa bene che dovrà affrontare tempi, a volte lunghissimi, per la fruizione del servizio. Nelle cliniche private i servizi erogati ai benestanti sono ottimi, mentre nel pubblico ci si sente poveri e “cittadini di serie B”. Si scarica la violenza sociale su  medici che cercano di fare l’impossibile in situazioni disperate. Il clima di sfiducia di cui i medici pubblici sono vittime non è  dunque risolvibile con la videosorveglianza. Per ricostruire la fiducia infranta è necessario dare dignità ad ogni cittadino a prescindere dal reddito. Investire nella sanità e offrire un servizio efficiente è l’unico sentiero da percorrere per ricucire la fiducia tra pazienti e medici. Ferma dev’essere la condanna verso ogni atto di violenza, ma se si reagisce ad essa limitandosi alla via repressiva, si effettua una scelta politica non adeguata; non si difendono né i medici né i pazienti.

In realtà non si vuole mettere in discussione l’aziendalizzazione della sanità e i tagli al sociale che hanno trasformato gli ospedali pubblici in servizio per poveri. Medici, personale sanitario e pazienti; se non tornano a sentirsi comunità, difficilmente la violenza potrà essere contenuta. Il problema è di tipo culturale politico. Fondamentale è il senso etico della professione medica, continuamente negato da fatti di cronaca di corruzione. Il numero degli iscritti alla Facoltà di medicina non è l’espressione di una diffusa sensibilità alla sofferenza, ma non pochi valutano la professione medica come un mezzo per occupare una posizione sociale di notevole prestigio con i conseguenti risvolti economici.

Dobbiamo curare la sfiducia per salvaguardare i medici e i pazienti, ma affinchè ciò possa essere è necessario cambiare politica. Contro la violenza, medici, pazienti e cittadini dovrebbero far fronte comune nella condanna della violenza e nell’aprire il dibattito sulla condizione in cui versa il sistema pubblico.

Sono stati spesi per armare l’Ucraina due miliardi e oltre di euro, risorse sottratte alle istituzioni pubbliche.

Non si può non vedere che il problema della violenza cela un dramma politico che fa fatica ad essere riconosciuto. I diritti sociali garantiti dalla Costituzione sono rimossi dalla cultura sociale e dalla politica. I diritti sociali implicano, se sono attuati, il rispetto verso i professionisti che effettuano la cura dei pazienti e tale culltura del pubblico è uno scudo contro i violenti. Oggi purtroppo è prevalsa la gestione privata dei servizi, per cui le istituzioni pubbliche sono vissute come “aziende”. L’articolo 32  della Costituzione ci rammenta che non vi è fiducia in una democrazia, se il diritto alla salute è legato al censo:

“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Si potrebbe ripartire dalla Costituzione per capire il clima di sfiducia che sta logorando la nazione. Senza fiducia non esiste la nazione, senza di essa vi è il rischio di precipitare in una incontrollabile violenza. Capire il problema è il primo passo per rispondere alla violenza, ma al momento il dibattito pubblico non sembra voler affrontare l’urgenza in cui siamo.

fonte:

Di BasNews

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