Mentre tutti gli occhi del mondo sono puntati sull’Ucraina, utile distrazione di massa, la cruciale partita mediorientale sta compiendo passi avanti significativi. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Saeed Khatibzadeh, ha affermato che nei colloqui sul nucleare iraniano che si stanno svolgendo a Vienna, sono stati compiuti progressi significativi.
Il dialogo sta prendendo forma concreta e quanto concordato verbalmente dalle parti inizia a essere messi per iscritto. Si tratterebbe, ha aggiunto di dar vita a un’intesa duratura, avendo l’Iran rigettato un accordo provvisorio, così che la prossima amministrazione non possa incenerirlo come ha fatto Trump con l’accordo siglato da Obama (Tansim agency).
Che qualcosa si muova a Vienna, lo conferma un lancio dell’Agenzia al Manar, che riporta l’annuncio di Jalil Rahimi-Jahanabadi, membro della commissione per la sicurezza nazionale e la politica estera del parlamento iraniano, il quale ha dichiarato che ‘le relazioni tra Iran e Arabia Saudita sono sulla via della normalizzazione e le ambasciate si preparano a riaprire […] ciò avrà ripercussioni significative sulla riduzione delle tensioni regionali”.
È ovvio che la normalizzazione dei rapporti tra le due più importanti (e oppositive) potenze regionali non può che discendere da un’intesa globale, che veda coinvolti anche gli Stati Uniti. E qui torniamo a Vienna, appunto.
A turbare la de-escalation in atto, l’escalation della guerra yemenita, nella quale i sauditi e i loro alleati (tra i quali gli States) stanno profondendo un impegno mai registrato in precedenza, con bombardamenti diuturni e massivi contro il Paese più povero del mondo, allo scopo di piegare i ribelli houti.
È probabile che una distensione regionale cadrà a cascata anche sul conflitto yemenita, ed è possibile che tale fiammata sia dovuta proprio a questo. Sauditi ed emiratini, cioè, sembra stiano cercando di riguadagnare le posizioni perse in questa guerra in vista di un prossimo accordo di pace (che si spera arrivi presto: la catastrofe umanitaria in cui versa il Paese è una tragedia che urla il suo scandalo all’indifferenza dell’Occidente, che continua a sostenere i suoi alleati regionali).
Gli Emirati arabi, che sembravano aver perso interesse per il conflitto, recentemente si sono tuffati con rinnovato vigore nell’agone, infliggendo perdite non indifferenti ai ribelli houti.
Questi, a loro volta, hanno ammonito Abu Dhabi a non proseguire l’offensiva, altrimenti avrebbero colpito il Paese nemico in profondità.
Ammonimento al quale hanno dato seguito con un’operazione che ha colpito tre autocisterne che trasportavano petrolio nei pressi della cittadina di Mousaffah, considerata la principale area industriale dell’emirato di Abu Dhabi e situata nei pressi dell’aeroporto internazionale della capitale.
Un segnale, nulla più, che però deve esser risuonato alto e forte negli Emirati, che saranno costretti a rivedere almeno in parte la loro bellicosa quanto temeraria strategia.
Ma al di là della conflittualità yemenita, che evidentemente non può chiudersi se non nel quadro di un accordo regionale legato al ripristino dell’intesa sul nucleare iraniano, si segnala che anche il fronte siriano, nonostante i continui attacchi israeliani, segnala un ulteriore passo verso la normalizzazione dei rapporti tra vecchi nemici.
A fine dicembre, infatti, il Bahrein ha riaperto la propria ambasciata a Damasco, chiusa dopo l’inizio della guerra siriana, che aveva visto Manama seguire Riad e gli altri Regni del Golfo nel folle quanto sanguinario tentativo di rovesciare il governo di Damasco (al Jazeera).
Così, il passo del Bahrein, che segue quello analogo compiuto da altri Paesi già nemici di Damasco, conferma la tendenza alla de-escalation mediorientale. In attesa di ulteriori sviluppi, si può alimentare la buona speranza.
fonte: