di Federico Giusti, delegato Lavoratori contro la guerra; Movimento No Camp Darby Pisa; editorialista di “Cumpanis”.
Stagflazione ed economia di guerra sono dietro l’angolo?
Lo scorso 11 marzo, in una conferenza stampa, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha risposto ai giornalisti rassicurandolo che non siamo in una economia di guerra dopo l’aumento delle tariffe energetiche e le pressanti richieste confindustriali di rendere più flessibile il lavoro, ottimismo dispensato dopo le paure espresse dalle associazioni datoriali sulle ripercussioni derivanti dall’embargo Ue alla Russia.
Il Fondo Monetario Internazionale, negli ultimi giorni, ha diffuso una nota con la quale rivede al ribasso le stime di crescita dell’economia mondiale, in controtendenza con quanto dichiarato solo pochi mesi fa quando si esprimeva ottimismo per la ripresa dei Paesi a capitalismo avanzato dopo i due anni pandemici.
Sempre il FMI parlava, a gennaio 2021, di ripresa dell’economia globale per l’anno successivo dopo l’orribile 2020, ora gli indicatori di medio termine indicano che l’attività globale è rallentata con una previsione di crescita in discesa dal 6.1% nel 2021 al 3.6% nel 2022 e 2023.
Per l’Italia, la crescita stimata per il 2022 era del 3,8% salvo poi, a guerra esplosa, riportarla a dati più contenuti (2,3%), ancora al ribasso le previsioni per il 2023 con il Fmi che parla di un modesto 1,7%.
Siamo abituati a previsioni poi smentite dal reale andamento dell’economia, non era prevista la recessione pandemica anche se qualche dubbio sulla guerra in corso possiamo nutrirlo se pensiamo alla vasta pubblicistica che parlava da mesi di un probabile conflitto in Ucraina.
La scommessa del Governo Draghi è quella di costruire un sistema di approvvigionamento energetico alternativo a quello fino ad oggi esistente con il gas e il petrolio russi (che copre oltre il 40% di fabbisogno europeo), acquistati a basso costo in virtù di accordi commerciali siglati da tempo e con prezzi praticamente bloccati.
L’Italia si legherà ad altri produttori, e in questa ottica si muove da settimane il Governo con alcune visite in Paesi ricchi di materie prime per concludere accordi commerciali. Se l’alternativa al gas e al petrolio russi sarà quella degli Usa è bene sapere che i costi saranno decisamente maggiori e avranno impatti negativi sulla bilancia commerciale e sull’attività produttiva nazionale.
L’impatto della guerra sui Paesi europei sarà forte, al contrario di quanto avverrà negli Usa che guadagneranno dalla guerra in corso, e nel frattempo la strada delle energie rinnovabili è ancora lunga e presenta costi e investimenti ragguardevoli.
L’aumento dei prezzi energetici, dei prodotti di prima necessità e di quelli agricoli avrà ripercussioni negative sulle imprese e abbasseranno ulteriormente il potere di acquisto dei salari aumentando il costo della vita. Il potere di acquisto dei salari pubblici non si è mai ripreso dopo i 9 anni di blocco della contrattazione. Stando ai dati Istat, sono cresciute le retribuzioni nel 2021 ma al contempo è calato il loro potere d’acquisto. Per l’Istat, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie – nella media dello scorso anno – segna un +0,6% rispetto al 2020. Ma la crescita salariale, assai contenuta anche a confronto con gli altri paesi a capitalismo avanzato, è vanificata dall’inflazione che nel medesimo periodo aumenta in media dell’1,9%. Citiamo testualmente il rapporto Istat: “Alla luce della dinamica dei prezzi al consumo, in forte accelerazione nella seconda metà dell’anno e pari a circa tre volte quella retributiva”, si registra “una riduzione del potere d’acquisto”. Da qui scaturisce la necessità di una iniziativa forte a livello sindacale e sociale perché indubbiamente il ripristino dei licenziamenti collettivi e degli sfratti ha favorito non solo la lotta di classe dei padroni contro la forza lavoro ma spinto verso il basso i salari e favorito l’aumento del costo degli affitti.
Le materie prime saranno reperibili con maggiore difficoltà e a costi decisamente superiori. Ci sono Paesi nella lista nera delle nazioni che violano i diritti umani, questa lista nera viene sovente rivista per far entrare, o uscire, all’occorrenza paesi canaglia che diventano invece patner commerciali insostituibili. E in questo caso dovremmo iniziare a dubitare fortemente della narrazione mainstream che alla occorrenza si piega ai voleri dell’economia capitalistica.
Sarà ridotto il potere di acquisto ma anche il consumo delle famiglie (e la domanda subirà una contrazione) e non solo per la crescita della inflazione ma perché la distribuzione diseguale delle risorse sta alimentando differenze economiche e sociali ragguardevoli che, alla lunga, rappresentano un problema anche per il sistema capitalistico.
Le sanzioni e le contro-sanzioni economiche alla Russia avranno ulteriori ripercussioni negative sull’economia Ue e in particolare su quella italiana e tedesca, da qui la reiterata proposta del cosiddetto nucleare pulito in un paese, l’Italia, nel quale da decenni attendiamo la bonifica di decine di siti inquinati.
I mercati finanziari saranno sempre più a rischio. Il ricorso al deficit straordinario è stato lo strumento con cui la Ue ha sospeso i parametri di Maastricht e risposto alla crisi pandemica. Al contempo, la Ue ha introdotto un fondo comunitario di sostegno all’occupazione (SURE) varando poi il programma Next Generation UE (da cui dipende il PNNR italiano), ora scopriamo che parte di questi fondi saranno destinati al settore militare e ad opere di militarizzazione per dare concretezza alla Bussola europea che segue la strada da sempre intrapresa negli Usa, quella del neokeynesismo di guerra.
La situazione peggiorerà con il prolungarsi della guerra e delle sanzioni.
Gli effetti della guerra, per il Centro Studi Confindustria, hanno ridotto la produzione industriale dell’1,5% a marzo, e per il primo trimestre 2022 il Centro stima una diminuzione del 2,9% rispetto al quarto trimestre del 2021.
Quali saranno allora gli scenari futuri?
Ogni giorno siamo investiti da una informazione mainstream che tende ad offuscare gli effetti della guerra che fanno pagare i costi alle classi sociali meno abbienti come dimostra la riduzione dei fondi alla sanità e all’istruzione e la richiesta padronale di maggiore flessibilità del lavoro.
La crisi ucraina è stata studiata a tavolino perché da questa guerra usciranno alcuni sconfitti (l’economia russa ad esempio) e alcuni vincitori (senza dubbio gli Usa) che andranno a ridefinire equilibri economici e geopolitici su scala mondiale.
Di sicuro, il Vecchio Continente sarà messo davanti ad alcune scelte: da una parte contenere la dinamica salariale (lacrime e sangue per le classi lavoratrici), dall’altra incrementare la diversificazione delle fonti energetiche (e da qui potrebbe scaturire la cosiddetta svolta verde, peraltro già analizzata nei piani europei che implicherebbero il rilancio del nucleare); e ancora, la necessità di costruire politiche continentali (in ambito militare, energetico ed economico), favorire i processi di liberalizzazione e concorrenza (la cosiddetta competitività da cui passa anche la flessibilizzazione del lavoro), la revisione del sistema fiscale e la mancata revisione delle norme previdenziali (la pensione sarà a 70 anni) e un ciclo di riforme strutturali, giuridiche ed economiche destinate a rafforzare il potere del capitale.
Il vecchio slogan dell’ottimismo dozzinale in tempi pandemici (tutto tornerà come prima) si è dimostrato fallimentare nel caso del covid (le spese sanitarie e sociali saranno contratte nei prossimi tre anni contro ogni logica), e lo sarà ancor più dopo la guerra in corso.
La Bussola europea, occultata da molti pacifisti, definisce i futuri scenari della Ue e il ricorso strutturale alla guerra determinerà il conflitto del capitale contro le classi popolari. Prenderne atto significa almeno acquisire consapevolezza di cosa ci attende nell’immediato futuro.
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