Il vertice NATO si apre con il placet turco all’ingresso della Svezia nell’Alleanza Atlantica. Un annuncio salutato come una svolta epocale, una vittoria decisiva, ma tale non è. Era ovvio che prima o poi Erdogan ottenesse quel che voleva e desse il placet, lucrando al massimo sul suo niet.
Nulla cambia negli equilibri geopolitici globali, distrugge solo la storia di una nazione che aveva fatto della neutralità e della pace una bandiera, al centro della quale spiccava il simbolo del Nobel, irreparabilmente sfregiato.
L’enfasi di cui sopra, invece, serve a mascherare la debacle che la Nato sta subendo nel confronto con la Russia, sia a livello militare, nell’ambito della guerra per procura ucraina, sia a livello economico-finanziario, con le sanzioni che si sono ritorte contro i suoi improvvidi artefici.
Di interesse quanto scrive su Consortium news l’ex analista Cia Scott Ritter, secondo il quale il vertice di Vilnius deve essere letto sulla scia del precedente, quello di Madrid dell’anno scorso.
Quello si era tenuto sulla scia della missione di Boris Johnson a Kiev, quando il premier britannico intimò a Zelensky di non firmare l’accordo con la Russia, ormai in dirittura d’arrivo.
L’irrealistica sfida di Madrid
“In breve – scrive Ritter – la NATO aveva rinunciato a una risoluzione pacifica del conflitto Russia-Ucraina e aveva scelto di condurre una guerra per procura – con l’esercito ucraino armato con equipaggiamento NATO – progettata per ottenere ciò che l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO Julianne Smith, nel maggio 2022, ha definito la ‘sconfitta strategica’ della Russia”.
Così Madrid si chiuse con una profusione di proclami altisonanti contro Mosca, alla quale era chiesto-intimato di ritirarsi e riconoscere la superiorità della Nato.
“La NATO” – commenta Ritter – sembrava, anzi era estremamente fiduciosa nella sua capacità di raggiungere il risultato desiderato […]. Quanto è cambiato in un anno”…
Dopo aver salutato con entusiasmo la riconquista di Kherson da parte degli ucraini, pegno sicuro di prossima vittoria, la NATO aveva accolto lo stallo successivo come un momento di pausa utile a preparare il colpo decisivo.
Infatti, “aveva riposto grandi speranze sul fatto che l’esercito ucraino fosse in grado di effettuare una controffensiva in grado di ottenere risultati apprezzabili, sia in termini di territorio riconquistato che di perdite inflitte all’esercito russo. I risultati, tuttavia, finora sono stati pessimi: decine di migliaia di vittime ucraine e migliaia di veicoli distrutti senza che le forze ucraine siano riuscite a sfondare nemmeno la prima linea delle difese russe”.
Cercare un atterraggio morbido
“Una delle sfide che la NATO dovrà affrontare a Vilnius è come riprendersi da questa battuta d’arresto. Molti paesi della NATO stanno iniziando a mostrare la ‘stanchezza dell’Ucraina’, mentre vedono i loro arsenali vuoti e le casse esaurite in quella che, secondo ogni possibile metro di misura, appare una causa persa”.
“La portata della sconfitta militare della guerra ucraina è tale che l’attenzione di molti Paesi NATO sembra spostarsi dall’obiettivo irrealistico di sconfiggere strategicamente la Russia a un obiettivo più realistico di porre termine al conflitto preservando l’Ucraina come stato-nazione”.
Quindi, dopo aver accennato alle querelle sull’ingresso dell’Ucraina nella NATO e alle difficoltà di costruire la NATO del Pacifico, Ritter spiega che il vertice di Vilnius, al di là della retorica e dei proclami, dovrà cercare “il modo migliore per arrivare a un atterraggio morbido rispetto agli obiettivi non realizzati fissati lo scorso anno a Madrid”.
Se il vertice fallisse “nel tentativo di porre fine all’accumulo di debacle evidenti nell’attuale politica della NATO nei confronti dell’Ucraina ciò si tradurrà in un ulteriore collasso della situazione militare in Ucraina e della situazione politica in Europa”, con evidenti contraccolpi nella forza e nella tenuta dell’Alleanza Atlantica.
Purtroppo, però, “la NATO ha da tempo smesso di rapportarsi ai fatti, tanto da trasformarsi in un teatro dell’assurdo nel quale gli attori si illudono di credere alla storia che stanno raccontando, mentre il pubblico osserva attonito”.
L’ordine basato sulle “loro” regole
L’analisi di Ritter può apparire esagerata, ma al fondo è esatta. La debacle della NATO, dei leader che la dirigono e dei leader che ne sono asserviti, è palese. Hanno perso e portato i loro popoli, anzitutto quello ucraino, verso una tragica sconfitta. E con loro hanno perso quanti, media e analisti, hanno propalato la religione della NATO e incenerito gli eretici del dogma.
Eppure nessuno di essi pagherà per i tragici errori commessi. Loro, gli sconfitti, continueranno a elaborare piani sulla pelle dei tanti che hanno pagato e pagheranno per i loro errori.
Non è una novità, si ripete quanto è avvenuto per le guerre infinite del passato. Tant’è. Tale situazione rende i discorsi sulla libertà, sulla democrazia, sull’ordine basato sulle regole messi in bocca a Biden, residuale e cadente corifeo di questo circo, assolutamente ipocriti.
A questo proposito, riportiamo due passaggi dell’editoriale del New York Times di ieri dedicato all’invio delle bombe a grappolo a Kiev: “Per quanto possa essere convincente l’idea di utilizzare qualsiasi arma disponibile per proteggere la propria patria, le nazioni che credono nell’ordine internazionale basato sulle regole hanno sempre cercato di tracciare una linea rossa contro l’uso di armi di distruzione di massa o di quelle che rappresentano un rischio grave e persistente per i civili. Le bombe a grappolo rientrano chiaramente nella seconda categoria”.
“[…] Ignorare ora le conseguenze a lungo termine di queste armi minerebbe una delle ragioni fondamentali per sostenere l’Ucraina: difendere le norme che assicurano la pace e la stabilità in Europa” e nel mondo.
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