di Pasquale Cicalese
Quando Marx analizzò il capitale dell’800 si era nella fase delle grandi concentrazioni di fabbrica e di massa di operai, con passaggio diretto dal produttore al distributore. In questo senso riteneva la classe operaia, immiserita, sfruttata con metodi di produzione ripetitivi, simil fordista alla Charlie Chaplin in Tempi Moderni, come portatrice della prossima rivoluzione, che lui attendeva e che non ci fu.
Tale scenario durò in Occidente fino alla fine degli anni sessanta. La guerra, e la produzione di armi, convertita poi in produzione civile, portò alla sovrapproduzione. Ci si inventò il Welfare e la reflazione salariale per assorbire tale sovrapproduzione. Solo che i salariati chiesero sempre piu’, negli anni sessanta ci fu l’assalto al cielo e così Agnelli ebbe a dire nel 1973: “Profitti zero”.
L’assalto al cielo della classe lavoratrice occidentale aveva portato al cortocircuito dei profitti. Venne la Trilaterale e la controffensiva contro i salariati.
Il capitale, piuttosto che accettare la modernità capitalistica, dettata anche dalle rivendicazioni operaie, con la riduzione della giornata lavorativa e settimanale a 32 ore (rivendicazione ad esempio di Potere Operaio anche perché il macchinismo aveva portato alla liberazione potenziale di tempo di lavoro), preferì tornare a modi di produzione ottocentesca, con aumento giornata lavorativa, immiserimento della classe lavoratrice, fine dei grandi complessi industriali, privatizzazioni, outsourcing, spezzettamento della produzione, trasferimento in Cina del manifatturiero.
Ad essi seguì la fine della banca universale e l’arma piu’ potente in mano ai miliardari, la libera circolazione dei capitali, fino agli anni Ottanta non permessa.
Nacquero paradisi fiscali e lì si depositò quello che a tutti gli effetti era rendita, capitale morto, anche grazie al capitale finanziario, che permise tra l’altro, mediante la mobilitazione di capitale, il trasferimento della produzione in Asia.
La non accettazione della modernità capitalistica portò l’Occidente tutto, non solo l’Italia, ad un panorama ottocentesco, ma questo volta non c’erano le grandi concentrazioni di massa operaie ma, mediante lo spezzettamento della produzione, vari passaggi in cui il plusvalore si realizzava. Poniamo un produttore di pomodori, c’è il suo plusvalore, poi il plusvalore del grossista magazziniere, che deve pagare i propri lavoratori, poi i trasportatori, che devono pagare l’assicurazione e la benzina, poi il dettagliante, che deve pagare anche il commesso. Tutti questi passaggi comportano una sorte di plusvalore. Ma il grande tema è quello dei servizi, che tagliano drasticamente salario monetario: tariffe per rifiuti, acqua, elettricità, gas, nel frattempo privatizzati.
Poi c’è il tema della rendita immobiliare, con la liberalizzazione del mercato, che toglie salario monetario. Poi c’è il grande tema dello Stato, nel frattempo ridiventato “comitato d’affari della borghesia” che taglia salario sociale. Tutto ciò porta al collasso salariale e dei consumi, dicendo nel frattempo che non ci sono risorse. Ma le risorse ce l’hanno i padroni, magari nei paradisi fiscali o attraverso elusione ed evasione, dunque le risorse ci sono ma sono concentrate.
Forse il grande tema futuro sarà la confisca. Tutto ciò è avvenuto perché i capitalisti nel 1973 non hanno accettato la propria stessa rivoluzione capitalistica, che causa anche la riduzione della giornata lavorativa (oggi, per il macchinismo, si potrebbe tagliare anche del 50%). I capitalisti non hanno accettato le stesse leggi del capitale e hanno preferito ritornare all’Ottocento. Questa la grande contraddizione dell’epoca attuale, simbolo della decadenza dell’Occidente. Perciò le battaglie future non sono solo le rivendicazioni operaie, ma la pubblicizzazione dei servizi, la riduzione della giornata lavorativa per tutti, canoni di affitti calmierati, sanità, istruzione.
Ecco perché 50 anni di guerra al salario è il proseguo di Piano contro mercato.
Il post di stamane all’alba voleva significare che Marx aveva ragione nel dire che il capitale è un prodotto sociale, dove tutti ci partecipano. Ma il profitto non è solo nella produzione, ma anche nella circolazione del capitale. Poniamo un sarto, che fa vestiti per milionari. Questi compra il tessuto prodotto in fabbrica (e Marx si occupò di questo plusvalore). Questo sarto fa lavoro produttivo? Dunque, crea plusvalore? Mettiamo il mio barista preferito, Mimmo. Vado spesso a prendere da lui un ottimo caffé. Il caffé lo compra, e dunque il plusvalore è della fabbrica di caffé (anche se a sua volta compra il caffé), ma Mimmo prepara la macchina, tiene pulite le tazzine, prepara il caffé. E’ dunque lavoro produttivo?
La cosa piu’ grande ci fu durante la pandemia quando il blocco dei porti cinesi mandò in tilt il capitale mondiale. Trasportare merci da Shanghai al porto, con benzina e assicurazione compresa, mettere i containers nella nave ed assicurarli per il trasporto, l’arrivo alla destinazione, a sua volta un tir, fino alla fabbrica o al distributore, è plusvalore? Ormai il capitale permea tutto il mondo, è prodotto sociale, ecco perché la sua socializzazione mai come in questi tempi, mediante coscienza di classe e lotta, può esser raggiunta, in primis la socializzazione dei servizi nella sfera della circolazione del capitale.
Se ci pensate in Cina quasi tutta la sfera di circolazione del capitale (banche, assicurazioni, gas, elettricità, rifiuti, acqua, gli stessi trasporti) è pubblica.
Questa la loro forza, perché libera salario monetario. Parzialmente succedeva da noi con la Prima Repubblica. Il cosiddetto boom economico fino al benessere degli anni ottanta. Io non frequentavo la Dc, ma devo riconoscere che c’era gente che sapeva di economia.
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