30 miliardi spesi in quattro anni, destinati a 2 milioni e mezzo di persone a fronte di 6 milioni di poveri che vivono in Italia. Questi i numeri essenziali del Reddito di Cittadinanza, la misura bandiera del primo governo Conte (quello con la Lega) che il governo Meloni (sempre con la Lega) ha deciso di abolire per sostituirlo col più snello – e decisamente più economico – assegno di inclusione.
Ma ora che è stato archiviato e possiamo quindi analizzarlo con un po’ di serenità è il momento di chiederci; è stato un buono strumento o la premier ha avuto ragione a disfarsene come promesso in campagna elettorale?
Ci verrebbe da rispondere di sì, perché lo strumento era mal calibrato. Aiutava in maniera eccessiva i giovani senza figli, perfettamente in grado di lavorare, che ricevendo parecchie centinaia di euro al mese erano incoraggiati a non cercare un impiego o a cercarlo in nero, favorendo l’evasione fiscale in settori che già tendono al sommerso, come la ristorazione e i servizi legati all’accoglienza.
Dall’altro lato la misura grillina ignorava clamorosamente i veri poveri, come i senzatetto, perché ricevere il RdC senza avere una residenza era praticamente impossibile. A certificarlo fu addirittura la Caritas, che nel suo report “Lotta alla povertà” svelò come il 56% di chi viveva in povertà assoluta non poteva accedervi. Inoltre la procedura per accedervi era tutt’altro che semplice, quindi molte persone in difficoltà non erano in grado di far valere il loro diritto a un aiuto economico.
Quanto alle truffe, ovvero ai cittadini che hanno ottenuto il reddito senza averne i titoli, va ammesso che i giornali vi hanno dato un risalto forse eccessivo: secondo la Guardia di Finanza sono stati denunciati per frode circa l’1,7% dei riceventi. Una percentuale non irrilevante ma certo non enorme. Salvini aveva fatto scalpore parlando di imbrogli per 15 miliardi di euro: il dato riguardava in realtà l’insieme delle truffe ai danni all’erario (appalti pubblici più che altro) e il reddito pesava per appena l’1% di quella cifra. A limitare versamenti a chi non ne aveva diritto è intervenuta l’Inps, che ha svolto un buon lavoro di verifica negando fin dal primo momento il Reddito ha chi l’aveva chiesto pur mancando dei requisiti.
Bene quindi aver eliminato uno strumento che non era accessibile a chi aveva davvero bisogno d’aiuto. Ma l’eliminazione è solo la prima – e più facile – parte del lavoro. Perché è vero che molte persone che non ricevono più il RdC faticheranno a trovare un lavoro decente anche se lo cercheranno con tutte le loro forze, perché al Sud il lavoro, diciamocelo francamente, non c’è.
Per dimostrarlo basta dare qualche numero: nella ricca provincia di Bolzano riceva il RdC lo 0,07% della popolazione; la percentuale sale al 3,5% a Frosinone e balza al 12% a Palermo, Napoli e Crotone.
Per avere conferma della situazione basta visitare la nuova piattaforma che dovrebbe far trovare lavoro a tutti gli occupabili: le offerte sono quasi tutte al Nord, i potenziali candidati concentrati al Sud. Quel che è peggio è che la stragrande maggioranza delle offerte riguardano lavori a tempo, con contratti di pochi mesi. Troppo poco per convincere qualcuno, magari con moglie e figli, ad affrontare le spese di un trasferimento.
In ogni caso pensare di incoraggiare altri milioni di disoccupati a fare le valigie in direzione di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sarebbe un grave errore, perché in questi anni il Meridione d’Italia si è già desertificato; non può sopportare un’altra ondata di migrazioni di massa dei suoi giovani.
La Meloni ha fatto una scelta importante eliminando uno strumento sensato ma progettato male e usato peggio; ora è il momento di dimostrare che è in grado di favorire la nascita di posti di lavoro per chi è rimasto privo di aiuti.
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