Federico Giusti

L’ultimo rapporto Oxfam sulle disuguaglianze fotografa il crescente divario tra gli stipendi (in continua erosione) e i profitti (quasi raddoppiati). Se prendessimo i salari di 30 anni fa confrontandoli con quelli odierni potremmo anche non cogliere l’erosione avvenuta; guardando la busta paga di un lavoratore a inizio anni Novanta e quella di oggi sarebbe facile essere tratti in inganno pensando ad un aumento sostanziale dei salari. Ma la prima domanda da porsi è relativa al rapporto dei salari con il reale costo della vita, gli stipendi odierni hanno subito una continua erosione determinata dalla perdita del potere di acquisto, insomma anche se una busta paga cresce non è detto si possa conservare il tenore di vita di un tempo.

Prova ne sia che il nostro paese da 40 anni subisce il crollo del potere di acquisto di salari e di un numero crescente di pensioni, se i salari crescono il costo della vita aumenta assai di più.

Se è ormai acclarata la perdita di potere di acquisto bisogna chiedersi chi siano i beneficiari della ricchezza prodotta e la risposta è solo una: i dividendi degli azionisti sono aumentati a velocità sostenuta, gli utili di impresa escono decisamente rafforzati in virtu’ di scelte politiche, fiscali e finanziarie tanto che il rapporto Oxfam, analizzando gli anni post pandemici, conclude:

i dividendi delle major italiane sono cresciuti dell’86% in termini reali, mente i salari reali hanno registrato un calo di quasi il 13%. 

In questi anni è stata esclusa dall’agenda politica una legge patrimoniale, le tasse sulle eredità in Italia sono tra le più basse dei paesi Ue, gli aiuti fiscali alle imprese crescono di anno in anno trovando ampio e acritico sostegno nei sindacati rappresentativi.

La crescita dei salari nominali è evidente ma anche il crollo del potere di acquisto tanto che i salari reali sono di fatto diminuiti analizzando i dati relativi al costo della vita, il rincaro dei prodotti energetici e i tanti servizi pubblici nel frattempo diventati a pagamento.  Da 30 anni ad oggi i salari italiani sono ridotti ai minimi termini e la erosione del potere di acquisto va di pari passo con la perdita di competitività del sistema produttivo italico.  Perfino il debito pubblico cresce nonostante la contrazione delle spese sociali, l’austerità salariale è dimostrata dalla erosione del potere di acquisto e uno sguardo critico va rivolto alle stesse leggi previdenziali che hanno ritardato di anni l’uscita dal mondo del lavoro determinando in prospettiva assegni pensionistici decisamente bassi, pur a parità di contributi, se confrontati con quelli di pochi anni or sono.

Se è innegabile la crescita dell’inflazione è altrettanto evidente come le politiche fiscali a favore delle imprese non abbiano raggiunto l’obiettivo per le quali erano state pensate: favorire la domanda interna con la ripresa salariale e mettere in condizioni le aziende di assumere personale incrementando al contempo le buste paga.

Se la ricerca Oxfam spiega come in 31 paesi analizzati gli utili per le imprese i dividendi azionari siano cresciuti di quasi il 50%, allora non sarà il caso di arrivare a qualche conclusione ossia ammettere che le politiche fiscali favorevoli al grande capitale alimentano le disuguaglianze e creano stagnazione salariale, oltre a privare il nostro welfare di importanti risorse senza le quali i divari sociali sono destinati ad aumentare?

Altro luogo comune viene smentito dai dati Oxfam: non corrisponde al vero che i salari siano cresciuti a dismisura nei paesi a capitalismo arretrato, oggi un lavoratore su cinque a livello globale percepisce un salario Inferiore alla soglia di povertà pari a 3,65 dollari al giorno). L’idea che il capitalismo porti benessere ai paesi meno sviluppati è stata una delle armi ideologiche della globalizzazione neoliberista come anche l’illusione che il sistema capitalista avrebbe alla fine ridotto le disuguaglianze sociali tra paesi sviluppati e non.

E l’ottimismo dei vincenti viene oggi smentito dai dati economici: solo negli ultimi 10 anni, i miliardari hanno raddoppiato la propria ricchezza, per ogni 100 dollari di incremento della ricchezza netta, 54,40 dollari sono andati all’1% più ricco e solo 0,70 dollari al 50% più povero.

Oxfam arriva ad alcune conclusioni che potrebbero anche rappresentare l’incipit di una discussione in ambito sindacale e politico, citiamo senza ulteriori commenti alcuni passaggi del Rapporto:

“Anche in Italia cresce la concentrazione di ricchezza e si confermano gli elevati divari dei redditi che la collocano tra gli ultimi Paesi nell’UE. In un contesto in cui la povertà assoluta è più che raddoppiata in 16 anni e il caro-vita sta erodendo il potere d’acquisto di gruppi sociali più fragili e di tanti lavoratori i cui salari non tengono il passo con l’inflazione. Le disuguaglianze non sono casuali né le marcate divergenze nelle traiettorie di benessere dei cittadini, lungo le sue molteplici dimensioni, sono ineluttabili. Sono piuttosto il risultato di precise scelte di politica pubblica che hanno prodotto negli ultimi decenni profondi mutamenti nella distribuzione di risorse e potere, dotazioni ed opportunità. Per l’Italia in questo rapporto focalizziamo l’attenzione su tre ambiti: le politiche fiscali, le politiche del lavoro e le politiche di contrasto alla povertà e ora di supporto per il contrasto al caro-vita……………

Alla fine del 2021 la distribuzione della ricchezza nazionale netta vedeva il 20% più ricco degli italiani detenere oltre 2/3 della ricchezza nazionale (68,6%), il successivo 20% (quarto quintile) era titolare del 17,5% della ricchezza, lasciando al 60% più povero dei nostri concittadini appena il 14% della ricchezza nazionale (cfr. Fig. 3). Il top-10% (in termini patrimoniali) della popolazione italiana possedeva oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Confrontando il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri della popolazione italiana, il risultato appare ancor più sconfortante. La ricchezza del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41,7% della ricchezza nazionale netta) era superiore, a fine 2021, allo stock di ricchezza detenuta dall’80% più povero dei nostri connazionali (31,4%). La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco (che deteneva a fine 2021 il 23,3% della ricchezza nazionale) valeva oltre 40 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana….

Nel periodo ultraventennale intercorso tra l’inizio del nuovo millennio e la fine del 2021, le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10% più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal top-10% è cresciuta di 3,8 punti percentuali nel periodo 2000-2021, mentre la quota della metà più povera degli italiani ha mostrato un trend decrescente, riducendosi complessivamente negli ultimi 22 anni di 4,1 punti percentuali”

Disuguaglianze sociali ed economiche sempre maggiori, arricchimento di ristrette elites a discapito della stragrande maggioranza della popolazione, erosione dei salari e delle pensioni. Siamo ancora certi che austerità salariale e politiche fiscali a favore delle imprese rappresentino le ricette vincenti? E la cancellazione del reddito di cittadinanza, la mancata istituzione di un salario minimo accelereranno la crescita della disuguaglianza salariale ed economica condannando alla miseria parti consistenti della popolazione.

Report-OXFAM_La-disuguaglianza-non-conosce-crisi_final.pdf (oxfamitalia.org)

fonte:

Di BasNews

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