Ancor prima di entrare a Downing Street il leader laburista Keir Starmer, assoluto vincitore delle elezioni britanniche,  si è affrettato a farci sapere che lui è per la continuazione della guerra e dello stato generale di ostilità dell’Occidente verso chiunque tenti di sottrarsi alle ricette che esso vuole imporre con la forza. Per il resto, per i temi sociali, quasi nulla a parte accenni di vacua ed evasiva retorica, pronunciata quasi con fastidio. Allora in che senso Starmer  può dirsi laburista? In nulla ovviamente, si tratta solo di un nome tradizionale a cui non corrisponde però un contenuto conseguente. Questo – ma si tratta solo di un esempio tra i tanti che si potrebbero fare – testimonia del fatto che ormai abbiamo un vocabolario politico del tutto inattuale, dove centro destra e centro sinistra, sono espressioni incongrue che descrivono solo differenze del tutto marginali, poiché entrambi questi schieramenti sostengono i tagli neoliberisti alla spesa sociale, la privatizzazione selvaggia, il capitalismo degli azionisti e sono a a favore del riarmo e della deindustrializzazione che deriva dal sostegno alle politiche Usa-Nato.

L’economista Michael Hudson sostiene che “centrista”  accompagnato da qualsiasi altro segnale nelle varie direzioni politiche, sta principalmente a significare l’accettazione senza se senza ma delle politiche di Washington trasmesse attraverso l’Alleanza atlantica e la Commissione europea che costituisce la controparte del potere grigio statunitense. Prova ne sia che vengono portate avanti politiche belliche ed economiche che si sono rivelate disastrose proprio per il nostro continente, separandolo non solo dalla Russia, ma anche dall’Asia che è l’area di crescita maggiore del pianeta. Secondo un altro economista, questa volta di scuola neo keynesiana, ovvero Steve Keen, il gioco politico che si svolge in quasi tutti i Paesi occidentali è questo: “Il partito al potere persegue politiche neoliberiste; perderà le prossime elezioni a favore dei suoi rivali che, se saliranno al potere, perseguiranno anch’essi politiche neoliberiste. Poi perderanno e il ciclo si ripete”. Il topolino corre sulla ruota.

Chiunque sia fuori da questo gioco delle parti è populista, sovranista e tout court fascista, altra parola inflazionata e deviata che non ha più alcun riferimento né con la realtà storica, né con il presente: sfido chiunque a dare una definizione di fascismo che non si attagli perfettamente al centrismo attuale. Il quale per paradosso appoggia l’unico vero fascismo che esiste sul continente, ovvero quello ucraino ipernazionalista e basato sullo stato etnico. Questo fenomeno di ingannevole riscrittura del vocabolario politico è dovuto principalmente alla scomparsa della sinistra, che è un po’ come se fosse scomparso il nord o il sud dalla bussola: in tutta l’Europa esiste ormai un solo partito definibile di sinistra  ed è quello di Sara Wagenknecht, ma tutto il resto è come  scomparso nelle nebbie, dapprima con lenta progressione cominciando da Bad Godesberg nel ’59 dove i socialdemocratici tedeschi dovettero rinunciare ad ogni elemento del marxismo pena un possibile messa al bando ordinata da Washington e poi precipitando dagli anni ’90 in poi nella rinuncia ai diritti del lavoro che in Italia, tanto per dirne una, hanno avuto come motore proprio il centrosinistra.  Fa veramente ridere che in in Usa e purtroppo qualcuno anche da noi  definiscano la politica globalista come “marxista”. Vabbè so’ americani, non sanno nemmeno di cosa si tratti, ma anche questo mostra ancora meglio come il neo linguaggio politico abbia fatto carne di porco dei riferimenti corretti e abbia la la stessa iridescenza  delle bolle di sapone, anche se poi pesa come una pietra. I partiti socialdemocratici e operai di oggi non sono né socialisti né a favore dei lavoratori, ma a favore dell’austerità e si appoggiano alla reaganomics neoliberista thatcheriana e poi blairiana.

Lo status quo politico odierno sta deprimendo i salari reali e gli standard di vita dei ceti popolari, sta polarizzando le economie e portando i bilanci pubblici in deficit causando ulteriori tagli ai programmi sociali. In nome della guerra. Ma naturalmente chi si oppone alla guerra e alla distruzione dello stato sociale che consegue all’aumento delle spese militari. è fascista. Mi chiedo cosa abbia di internazionalista tutto questo a meno che con questa parola non si intenda l’importazione massiccia di persone che non possono più vivere nei loro Paesi a causa delle guerre e delle ruberie che vengono praticate dall’Occidente, secondo un perfetto circolo vizioso.

Difficile ormai che tutto questo possa essere superato dall’interno e solo l’ascesa dei Brics che cominciano a rappresentare un altro polo di attrazione nei fatti può cambiare la situazione e rimettere il vocabolario politico al suo posto. lasciando perdere quello riscritto dall’imperialismo americano. Forse allora qualcuno si accorgerà di essere fascista sotto altro nome.

fonte:

Di BasNews

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