di Fabio Torriero

Da questa settimana si apre una fase molto complessa e delicata.

Nel governo c’è chi sta studiando il timing dei vari passaggi parlamentari che dovrebbero concludersi venerdì. Il ragionamento è se far votare le Camere tra fine luglio o inizio agosto, quando gli italiani andranno al mare e non a settembre come scrive Francesco Verderami sul Corriere della sera, quando saranno arrabbiati per il dopo-ferie e le bollette da pagare.
Ma a sentire la Meloni, la tendenza è al rinvio, al posticipo con una frase molto furba: “Lo faccio nell’interesse anche di chi è favorevole al Mes”.

Ovviamente il tema è la ratifica di questo trattato, ritenuto “ineluttabile” (inutile la manfrina cui stiamo assistendo). Troppe pressioni nei confronti di un esecutivo sovranista molto di facciata, ma in pratica, molto condizionato, se non prono, in politica estera agli Usa e in politica economica a Bruxelles, con l’incubo continuo dell’agenda culturale scritta dalla sinistra e di non riuscire a realizzare le promesse elettorali del 25 settembre scorso.

Sul Mes come noto, si giocano parecchie partite. La strategia finanziaria, i rapporti internazionali, la credibilità personale della premier Giorgia Meloni, conquistata faticosamente a suon di strappi e rappacificazioni; e ancora, la compattezza della maggioranza dilaniata da una Lega movimentista e da Fi, bandiera dell’europeismo, dell’atlantismo, del moderatismo (leggermente assorbito di recente da Palazzo Chigi) totalmente ringalluzzita dall’effetto-Berlusconi.

E nel caso specifico uno scontro “interno-esterno” nel centro-destra: Meloni vs Giorgetti, Salvini vs Giorgetti. Capite a che punto stiamo? Capite come gli argomenti sul Meccanismo europeo di Stabilità, che a detta di molti ecomomisti di grido, ci legherebbe ulteriormente ai diktat della Bce, sono dirimenti per il nostro futuro?
E’ solo questione di scelte: decidere da che parte stare, definitivamente.

Tutto questo mentre si aprono scenari endogeni non da poco. Dei macigni da gestire.

C’è l’avvio polemico delle riforme sulla giustizia, con le inevitabili ripercussioni che sappiamo, c’è lo spinoso caso-Santanché che rischia di trasformarsi in un grave problema (effetto-domino), pezzi degli azzurri e del Carroccio ipotizzano una specie di prima resa dei conti per cambiare qualche equilibrio interno, iniziando la fase della “de-melonizzazione”, tradotto: meno potere agli uomini di Fdi.
C’è da chiudere l’agenda del Pnrr per ottenere la tanto sospirata terza rata. E c’è da sciogliere il nodo della nomina commissariale per le aree alluvionate della Romagna.

Infine, il Mes. Salvini, esattamente come sugli argomenti che riguardano l’immigrazione, da un lato fa la voce mediatica grossa, dall’altro, scarica sulla Meloni la responsabilità di un suo eventuale affossamento.

Tajani è in una posizione mediana, Fdi aspetta le decisioni della sua leader, Giorgetti (referente dei poteri che contano, Draghi e del Quirinale), ovviamente è per il sì.
E finora la Meloni, con in testa una sua idea (vedremo) che non divulga, sembra privilegiare il “pragmatismo aperturista”.

Come finirà? Come per le grandi riforme istituzionali. Il centro-destra propone il presidenzialismo, il centro-sinistra lo combatte, si arriverà al massimo salomonicamente al premierato.
Stessa cosa per il Mes: sarà il parlamento a decidere, tutti si deresponsabilizzeranno con la parola d’ordine molto democristiana: “Ratificare il Mes non vuol dire utilizzarlo”. E ratificarlo a settembre.
E così si salveranno capra e cavoli, capra Ue e cavoli governativi. Tanto saranno i futuri governi a utilizzarlo.

Fonte:

Di BasNews

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