Di Redazione
Il termine politica deriva dal greco pólis (città-Stato) per indicare l’insieme delle cose della “città”, gli affari pubblici e, insieme, la conoscenza della cosa pubblica e l’arte del loro governo. Senza dilungarci molto, dal mondo greco attraverso quello romano, si giunge all’età moderna con Machiavelli, che sancisce la piena autonomia della politica rispetto all’etica e il diritto.
Attraverso varie vicissitudini storiche, l’arte della politica approda, poi, nell’età contemporanea. E ed è in tale epoca, che si è sviluppata una moltitudine di sistemi, atti a gestire la cosa pubblica. Si parla, quindi, di cosa pubblica. In realtà, se ne parla soltanto, poiché il vuoto di valori, proprio della società contemporanea, ha completamente, o quasi, distrutto ciò che dovrebbe essere alla base dell’agire politico: il senso del bene comune. E questo, risulta chiaro, in special modo quando si tratta di amministrative. E, senza alcun riferimento cittadino, è certo che l’agire in merito alla formazione delle liste, e poi all’amministrare, sia lo stesso in qualsiasi città d’Italia. Detto questo, a parte le dovute eccezioni (senza generalizzazioni forzate, non proprio tutti i raggruppamenti agiscono in tal modo) uno degli elementi più in vista durante la formazione delle liste, per lo più realizzate nei giorni precedenti la scadenza della presentazione, è rappresentato dalla ricerca del possibile candidato. Non un candidato qualsiasi, almeno al principio, ma un candidato che abbia un bacino di voti accettabile, e per questioni familiari, e per conoscenze; se poi, viene meno tale target, ci si apre a qualsiasi scenario, si diventa cioè tolleranti e oltremodo accoglienti. Per alcune liste, poi, la formazione delle stesse, magari, è il risultato di incontri e accordi segreti tra “forze politiche”, realizzati mesi prima delle scadenze, in luoghi diversi dalle sedi di partito (l’esatto contrario della retorica “ideale”, specie tra pseudo-rivoluzionari, quelli degli ultimi tempi, e quelli di lunga data, la cui unione, fino a non molto tempo prima, era impensabile, visti i danni causati alle città dagli ultimi: il trasformismo fa miracoli!). Accordi offerti, successivamente, agli iscritti che hanno il solo compito di ratificare; la vecchia questione morale: “I partiti non fanno più politica” (E. Berlinguer). Altro aspetto da sottolineare, poi, è la corsa (una vera e propria corsa) da parte di amministratori uscenti, si fa per dire,che non hanno quasi mai esercitato il proprio ruolo, addirittura abbandonando, in ultimo, i poveri sindaci uscenti al loro destino, corsa, si diceva, alla candidatura in qualche lista, sempre, si intende, per “il bene comune”.
Merito, e competenze? Parole con poco significato, in genere. I programmi, poi, sempre con le dovute eccezioni (per alcuni candidati alla carica di sindaco, e non, sono importanti, bisogna dirlo) sono solo da corollario, un piccolo dettaglio, degli intendimenti. Eppure, secondo il concetto autentico della politica, quello di cui alla città-stato greca, la stessa, dovrebbe significare “governare l’insieme delle cose della città”, la qual cosa presuppone, però, l’esistenza (specie oggi) di quella strana frase detta in precedenza: il senso del bene comune. Pressoché inesistente a livello nazionale, men che meno a livello amministrativo. Il tutto, difatti, sembra essere solo la risultante del livello culturale della società di oggi, in cui l’analfabetismo funzionale (a parte la scolarizzazione e la retorica di regime, relativa ai valori e alla democrazia) rappresenta l’elemento di fondo. Con la demolizione quasi completa dei rapporti, poi, effettuata dai social, che sono essenzialmente ciò di cui al pensiero di U. Eco, si assiste alla decadenza di una società che fa ricorso a falsi valori di copertura. Falsi (in primo luogo, presunte libertà individuali) poiché, di fatto, con il concetto di Stato da tempo in disuso, si antepongono gli interessi personali a quelli collettivi.
Difatti, se si fa un po’ di attenzione, si comprende che l’agire politico, ha essenzialmente pochi fini: l’affermazione personale, e, l’utilizzo della cosa pubblica, con poche prospettive e ricadute di tipo sociale. In genere è così, anche se certe cose è difficile che vengano dette pubblicamente: la retorica e il “politicamente corretto” (altra invenzione del sistema) non lo prevede.
In conclusione: qualcuno ha detto, che nessun fatto di vita si sottrae alla politica; magari è vero, però, facciamo sì che ogni tanto vi sia almeno un po’ di competenza, merito, e “senso del bene collettivo”: ne basterebbe un minimo, neanche tanto. Le città, grandi e piccole, appartengono alla nostra memoria collettiva permanente, sono la nostra vita, non possono essere proprietà di alcuni (una minoranza, di fronte ad una maggioranza inerte) che agiscono per arrivismo, attraverso il trasformismo.