di Pasquale Cicalese
Premessa: sono a favore del salario minimo. Ma quello proposto è una buffonata. 9 euro lordi, tolti contributi previdenziali e Irpef, oltre che addizionali regionali e comunali, cosa rimane?
6.5 euro l’ora, certo, pur sempre meglio di 4.5 euro netti ora in molti settori, ma sono sempre salari da fame. Occorre portarli ad almeno a 15 euro. Poi, si perde di vista cos’è il salario.
Esso non è semplicemente salario monetario, ma salario sociale, alloggi pubblici, istruzione a tutti i livelli universale, sanità pubblica efficiente ed universale, prestazioni assistenziali, lotta al lavoro nero, tutela della sicurezza sul lavoro.
La reflazione salariale, così intesa, non può interessare solo alcune categorie, penso ai servizi, dove i salari sono da terzo mondo, ma l’intera classe lavoratrice e la stessa classe media. Che prende 6.5 euro nette all’ora e poi deve pagare libri scolastici ai figli, mutui pazzeschi, un capitalismo delle bollette voracissimo, visite specialistiche mediche, visto la sanità è stata distrutta, i campi estivi per i tuoi figli ecc,, ecco, per lui non cambia il discorso. Anzi è una beffa. Oggi leggo che Gianpaolo Galli, già vate di Confindustria e Renzi e Monti, afferma che una nuova grande austerità è inevitabile, causa guerra, porta questo paese al rinnovo dello scenario degli ultimi 47 anni.
L’eterno ritorno del presente. E l’austerità la intendono per la popolazione, non certo per le imprese a cui si destinano valanghe di risorse pubbliche. Quindi, per me, ad ora, è specchietto delle allodole, anche perché la via è la contrattazione nazionale generalizzata, possibilmente con sindacati di classe, che, tranne eccezioni, non si vedono dal 1972. Ancora una volta perdiamo tempo.
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