di lorenzo merlo

Quanto siamo chiusi nel limitato sistema routinario o aperti al caos infinito, in difesa di qualcosa o in esplorazione di tutto, dunque confinati in schemi o in evoluzione creatrice?

Guardare a terra

L’organizzazione sociale, la cultura che questa esprime, le consuetudini che tende a imporre, le ritualità che ci allontanano dal presente, le ideologie che ci fanno finalmente viaggiare sicuri, il confine del corpo che crediamo impermeabile e discontiguo con il resto del mondo, quello dell’io che ci fa pensare di essere indipendenti, l’anfora della storia in fondo alla quale siamo adagiati senza poterne cogliere i confini vertiginosi, per imitazione traendo da essa il diritto indiscusso dell’importanza personale ovvero, quello della nostra posizione e prospettiva, non sono che le travi portanti e i contrafforti del limitato mondo autoreferenziale che andiamo raccontando. Una narrazione motivata e legittimata dall’immanente parzialità della prospettiva, della quale pare impossibile avere consapevolezza piena, al punto da vedere sciogliere l’arroganza e il suo potere sopraffattorio che ne segue. Una sequela di circostanze perciò che senza più ostacoli ci fanno credere che logica e razionalità siano i soli territori nei quali si possa cercare la verità. Un mondo materiale, solcato da rapide di un flusso senza morte in cui fermarsi a riflettere, che ci trascina senza tregua, lasciandoci il tempo soltanto per restare a galla.

Non certo per riflettere sulla concezione che il crogiolo ci impone a partire dai pensieri, nei quali troviamo apparente riscontro e coerenza, ma dei quali non ci avvediamo dell’origine del mondo che da essi scaturisce. Pensieri d’acciaio, sui quali il mito della caverna platonica e il schopenaueariano velo di maya nulla possono, quale dimostrazione che l’esperienza non è trasmissibile, che il piano razionale non ha potere comunicativo.

Serve infatti un atto ricreativo individuale, cercato ed eventualmente messo in essere, attraverso l’individuale ricreazione delle medesime consapevolezze. Affinché questo processo si inneschi, serve un movente che, potrebbe consistere nella messa in dubbio e quindi, in discussione delle verità secolari alle quali siamo assuefatti.

La disintossicazione da questa come da qualsiasi dipendenza pretende da noi un impegno radicale, senza il quale, con autoindulgenza, ci troveremo nuovamente nel ciclo del samsāra, il termine e concetto sanscrito che allude alla certezza e alla perpetuazione del ciclo della sofferenza. Inevitabile conseguenza della presunta indipendenza, separazione e diversità dagli altri, dal mondo e dal cosmo.

In caso diverso invece, si può osserva, il quando e il come avvengono, le nostre proiezioni le proiezioni sulla realtà cioè come la sua neutralità viene costantemente violata da noi e a nostro beneficio.

È quello il momento in cui può avviarsi un viaggio differente, attraverso sentieri prima neppure intravisti, che conducono a scorgere e superare orizzonti fino e oltre l’orlo dell’anfora natia.

Così, le prima risibili parole, quale amore e bellezza, che sembrano adatte solo al poeta, rappresentano e divengono visioni e pensieri di un altro mondo. Una terra sottile e infinita ma incomprimibile, che non sta nelle forme della materia, se non quando si ricade nel credersi proprietari di se stessi, se non quando si è ciechi davanti all’evidenza che siamo solo espressioni della vita, che gli altri sono dei noi in altro tempo e modo. E tutti non siamo che fili d’erba della prateria, alberi della foresta, gocce di mare, aliti di vento. Petali dello stesso fiore.

Guardare al cielo

Quando si schiudono le porte del confino dettato dai pensieri che ci soggiogavano nella materia e nell’arroganza dell’ego, la conoscenza del mondo, non è più superficiale e ristretta nei dati acquisiti, ma cosparsa di relazioni filacciose che fanno di noi uno dei mutevoli gangli frattalici dell’organismo cosmo e della realtà, attraverso i quali scorre l’energia eterna della vita. È allora che vediamo chiaramente quanto l’esperienza pregressa, per quanto valida in ambiti chiusi e pedestremente ripetitivi, possa ostruire il passaggio stretto alla conoscenza magica. Ed è sempre allora che ci emancipiamo dall’interpretazione del reale, noi stessi inclusi, nient’altro che una arbitraria e vanesia cristallizzazione del perenne divenire. Un arresto del flusso imperituro che soggiace alla legge del più forte, a quella del meschino potere sul prossimo. La realtà, da grande magazzino oggettivo, cioè identico per tutti, che pensavamo di poter frequentare per trovare il necessario a noi, cioè la verità e il giusto, pur restando formalmente identica, muta in relazionale, cioè si svela la sua conformazione in funzione di chi la pensa. È in questi termini che la tradizione orientale della realtà nella relazione, da sempre propositrice di parole da un altro mondo, rifiorisce nella fisica quantistica. Un regno nel quale sono l’osservato e l’osservatore a far decantare la realtà che prima volevamo e poi descriviamo. Un regno in cui sentimenti, emozioni ed esigenze non sono meno consistenti di un muro, ma più forti di una catena.

È in quel reame che l’energia scorre e si addensa in materia o si libra in arcano, che il tempo lineare, mito che ci aveva imbambolati, cessa il sortilegio, rivelandosi variabile, sempre secondo relazione, sempre secondo emozione e sentimenti.

Se il mondo immobilizzato ha l’aspetto di un’immagine bidimensionale, per la quale possiamo dire con certezza chi è in piedi e chi accosciato, e affermare che la legge è uguale per tutti, nonché sganciare un’atomica su Hiroshima o far scoppiare cercapersone sostenendo con convinzione la propria impunibilità, quello relazionale potrebbe essere tratteggiato da un volume nel quale vortichiamo, nel tempo passando anche da prospettive di verità opposte.

L’inconsapevolezza della realtà bidimensionale tende a generare conflitto in quanto implica l’idea gerarchica delle conoscenze, del diritto, della morale. Diversamente, la sua consapevolezza apre al rispetto, emancipa dallo stampino della storia, permette un’evoluzione verso una serenità di salute, bellezza e forza, in cui la conoscenza non è più un accumulo di dati, ma un’assenza della prevaricazione di questi. Nel taoismo è detto wu-wei.

Dunque, se abbiamo la giustificazione da portare al maestro per l’assenza di cui siamo stati attori, per la disattenzione che ci ha fatto credere nella scienza e buttare tutte le altre materie, ora che la realtà da oggettiva e fuori da noi è divenuta relazionale e dai dipendente, ci corre l’impegno di rispettarla.

Può fare al caso nostro per entrare nel regno della serenità e anche a quello culturale, per cambiare la folle politica delle rapide immonde.

“La conclusione è radicale. Fa saltare l’idea che il mondo debba essere costituito da una sostanza che ha attributi e ci forza a pensare tutto in termini di relazioni”. (1)

“Ogni prospettiva esiste solo in dipendenza da altro, non è mai realtà ultima […]”. (2)

“L’interdipendenza richiede di dimenticare essenze autonome”. (3)

“La lunga ricerca della «sostanza ultima» della fisica, passata attraverso materia, molecole, atomi, campi, particelle elementari… è naufragata nella complessità relazionale della teoria quantistica dei campi e della relatività generale”. (4)

Note

1 Carlo Rovelli, Helgoland, Milano, Adelphi, 2020, p 143

2 ivi, p 153

3 ivi, p 153

4 ivi, p 153

Di BasNews

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