Sono sempre stato fissato col Natale. Adoro il Natale e quando ogni tanto durante l’estate vedo sui social quelle foto ironiche “200 giorni a Natale” non provo alcuna ansia.
Da ragazzino certe volte mi alzavo di notte per andare a mettermi sotto l’albero: mi piaceva guardare dal basso tutti i grovigli di rametti, luci, cordoncini e ‘sta roba qua: mi infondeva uno strano senso di mistero, di magia. Mi ricordo distintamente anche l’odore: un odore “plasticoso”, ma che sapeva di Natale, di quello della mia famiglia.
Mi piace proprio un sacco il Natale e in questo periodo dell’anno sono spesso di buon umore.
Poi però apri il giornale e leggi che siamo arrivati a quota 1000 morti sul lavoro dall’inizio dell’anno e non riesco a non pensare al Natale di merda che trascorreranno le famiglie di queste lavoratrici e di questi lavoratori scomparsi.
Penso ai caduti, certo, ma anche ai genitori, ai fratelli e alle sorelle, ai figli, ai compagni e alle compagne superstiti. Mi viene in mente la mia famiglia: che Natale di cazzo trascorrerebbero mamma e papà se in mezzo a quei 1000 ci fossi anche io? Le mie sorelle, mio cognato, i miei amici. Perché tu leggi 1000, e già è un numero enorme, ma poi devi pensare anche a tutta la gente che c’è attorno. Devi pensare anche a quel genitore che proverà comunque a donare un po’ di serenità ai bambini, immaginando già che inferno sarà nel 2022 sbarcare il lunario, da solo con tutta la baracca sulle spalle.
Molte volte, quando parlo di questioni relative al lavoro, ai suoi diritti, mi trovo a discutere con interlocutori che, tanto in buona fede quanto sprovveduti, mi sottolineano come certe cose siano “volontarie”. La legge prescrive certi diritti e poi, “volontariamente”, il lavoratore può decidere di rinunciarvi, in tutto o in parte. Io mi incazzo, ovviamente, e mi sento ribattere con candore: «si, ma perché tanto casino? È volontario: se uno non vuole, non lo fa!». Per certi aspetti, a leggere oltre la risposta, si intravede anche una qualche accusa: come se chi assume posizioni simili alle mie fosse un estremista, un fanatico, un violento. Uno che, insomma, non vuole riconoscere alle persone la facoltà di “scegliere”. Saremmo quasi dei nemici della libertà. Sciocchezze.
C’è un motivo se per tanti anni le regole in materia di lavoro sono state considerate quali “inderogabili”. C’è un motivo se per tanti anni è valsa la regola del “favor”, ovverosia quella che consentiva agli individui di modificare le disposizioni di legge e di contratto solo in meglio (deroghe in melius). C’è un motivo: chi la vedeva in un certo modo non era un coglione, aveva intravisto qualcosa.
E infatti, non è mica obbligatorio accettare di lavorare senza un casco di protezione col rischio di precipitare da un’altezza di 30 metri. Eppure la gente lo fa lo stesso. Non è mica obbligatorio accettare di lavorare in nero, per 15 ore al giorno sotto il sole, per poi andare a dormire in una baracca fetida in mezzo alle campagne del foggiano. Eppure la gente lo fa lo stesso. Non è mica obbligatorio pedalare sotto la pioggia per ore e ore, preoccupandosi di consumare la quantità minore possibile di energia fisica per poter tirare più a lungo, terrorizzati dall’idea che la bicicletta possa rompersi da un momento all’altro o che possa saltare la catena facendo ritardare la consegna di qualche minuto. Eppure la gente lo fa lo stesso. Queste e tante altre scelte non sono obbligatorie, eppure la gente le compie lo stesso. E allora, una buona volta, convinciamoci del fatto che le persone, magari non noi in prima persona, magari qualcuno meno fortunato, non sono sempre nella condizione di scegliere in piena libertà ciò che è meglio per loro. Convinciamoci definitivamente e solidaristicamente del fatto che c’è chi è più fragile, che c’è chi è più debole, che c’è chi va protetto ad ogni costo, che questo ricattatorio modello economico fa schifo e che bisogna tornare a porre al centro la persona, il suo benessere, la sua felicità. Convinciamoci di quanto sia importante tornare a leggere la nostra Costituzione, di quanto sia importante pretenderne l’applicazione.
E se questo significa essere estremisti, così sia.
Savino Balzano
Savino Balzano, nato a Cerignola nel 1987, ha studiato Scienze Politiche presso l’Università degli Studi di Perugia. Autore di “Contro lo Smart Working” (Laterza, 2021) e di “Pretendi il Lavoro! L’alienazione ai tempi degli algoritmi” (GOG, 2019). Sindacalista, si occupa di diritto del lavoro, collabora con diverse riviste.
fonte: https://www.lantidiplomatico.it/