In alcune persone è intrinseco qualcosa di unico, che sorprende e commuove intensamente chi ha la fortuna di conoscerle, chi le osserva con attenzione cogliendone le tante sfaccettature. E’ un qualcosa da cui è possibile trarre importanti spunti di riflessione su cui soffermarsi: la loro capacità di affrontare la vita con coraggio, senza mai fermarsi, senza mai arrendersi, ricercando la strada giusta, e di avere la voglia di guardare le cose da più prospettive, mai in maniera schematica, scontata. La bellezza di saper ascoltare il principio immateriale della vita nell’uomo, ovvero la propria anima, i propri sentimenti più forti, per sentirsi costantemente “vivi”, colmi di vibrazioni profonde, anche nei momenti di inevitabile sofferenza, rende belli, affascinanti, autentici.
Un esempio di tutto questo è rappresentato dal trentaquatrenne lucano Marco Rafaniello. Ascoltare la sua toccante storia, significa sentire il proprio cuore emozionarsi in maniera progressiva. Si tratta di un ragazzo che ha vissuto i suoi primi trent’anni di vita tra visite specialistiche, medici e ospedali, alla ricerca di una soluzione al suo problema; infatti, Marco è nato perfettamente sano ma, lentamente, la sua vista è diventata sempre più debole fino a spegnersi del tutto.
Il suo grande dolore gli ha provocato l’inevitabile sensazione di sentirsi spento anche a livello emozionale; grazie alla sua potente capacità di rialzarsi, è riuscito a ritrovare la sua meravigliosa energia, la sua adrenalina, la sua luce interiore. Gradualmente, acquisendo una importante consapevolezza, si è reso conto che aveva perso la sua vista ma non la sua vita, non la sua essenza più profonda, non il suo futuro ricco.
Marco Rafaniello è un ragazzo con una vita piena di impegni: opera, da sempre, nell’ambito del volontariato nel quale, grazie alla sua spiccata sensibilità ed empatia, supporta con passione le persone e soprattutto gli ipovedenti. E’ vicepresidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti per la provincia di Potenza. Inoltre, lavora come centralinista presso il Tribunale di Potenza.
Recentemente, ha pubblicato un interessante e coinvolgente libro che sta riscuotendo un gran successo: “Vedo il mondo con le mani”. Edito da Universosud, è acquistabile sul sito della casa editrice e su tutti gli store online. E’ stato realizzato anche in formato audiolibro, con la preziosa collaborazione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti della Basilicata.
Marco, come nasce l’idea di questo libro e quali sono state, sin ora, le interpretazioni più significative da parte dei lettori?
Sentivo forte, dentro di me, l’urgenza di volermi mettere “a nudo” davanti ad un pubblico non predefinito: il mio libro è rivolto a tutte le fasce d’età. Sin da bambino sentivo la necessità di lasciare una mia traccia, ancor prima di imbattermi nella mia problematica. Qualche anno fa, in un pomeriggio d’inverno, conversando di tutto ciò con un amico, venne fuori la mia decisione di iniziare a raccontare la mia storia al pubblico. Infatti, contattai la giornalista Eva Bonitatibus e, con lei, abbiamo ripercorso il mio passato: il mio libro inizia con la seguente frase: “Sono nato al mondo un giorno d’estate” e termina con “sono ritornato al mondo un giorno d’estate”. Raccontarmi è stata una sorta di “elaborazione del lutto”; rivivevo, inevitabilmente, ciò che mi era accaduto, il dolore si ripeteva dentro di me, pagina dopo pagina. Ma la rinascita si stava già affacciando nella mia anima. L’aspetto più bello di questo libro è il “controcanto”, ovvero la testimonianza dei miei genitori, di mio fratello, di alcuni amici e parenti che raccontano il loro punto di vista. Mentre io, durante la narrazione, racconto una determinata situazione, un determinato passaggio o un momento storico, loro raccontano come mi hanno vissuto e come hanno percepito la mia sofferenza e la loro elaborazione del mio stato. Mettermi a nudo è stata una scoperta, una sperimentazione personale. Per quanto riguarda l’interpretazione dei lettori, ne ho ricevute svariatissime e tutte differenti tra loro. Ultimamente sto portando il mio libro e la mia testimonianza nelle scuole: mi rendo conto che i ragazzi sono molto perspicaci, colgono tanto. Mi piace riportare ciò che facciamo in alcuni incontri: formiamo un cerchio, con un pezzo di “puzzle” centrale. Il “puzzle” è un simbolo importante all’interno del mio libro, il diversamente abile lo rappresenta. Ogni pezzo di puzzle è diverso da un altro, siamo tutti diversi ma se ci incastriamo con la persona giusta, durante la vita di tutti i giorni, diamo vita ad una immagine bella e suggestiva. La diversità, quindi, diventa un valore aggiunto. Inoltre, i ragazzi vengono bendati e condotti ad un laboratorio sensoriale, tattile e olfattivo e sperimentano per qualche minuto il buio, rilasciando le loro interpretazioni, tutte acute, profonde. Con gli adulti, invece, lavoro molto a livello interattivo: un ottimo modo per entrare in connessione.
Ciò che capto è che ognuno ne esce con una speranza nuova, una nuova luce e una voglia di andare sempre avanti, nella propria quotidianità, con forza.
Cosa significa per te “vedere con le mani”?
Vedere con le mani significa entrare in una nuova realtà, in un altro mondo, in una sorta di parallelismo. Vedere con le mani è quell’elemento che abbatte tutti i giudizi e pregiudizi che la vista, oggi, ci conduce ad avere. Quando vediamo con gli occhi, giudichiamo: “mi piace”; “non mi piace”; “è bello”; “è brutto; “è antipatico” (…) Le mani, invece, danno l’opportunità di “andare oltre”. Con le mani, la percezione è forte: di un’emozione, di un sorriso, di una persona, di un tessuto.
Sei un ragazzo che esprime un’indole molto socievole. Qual è l’elemento più importante, per te, che condiziona positivamente le relazioni sociali?
Quando avevo la vista, tendevo a voler avere tutto sotto controllo e a voler aiutare gli altri. Quando ho perso la vista è arrivato un tumulto perché ero io a dover chiedere aiuto. Questo mi risultava difficile, ma ringrazio Dio per aver avuto una famiglia meravigliosa. Non mi hanno mai lasciato solo. Le relazioni, per me, sono importantissime. Bisogna uscire, incontrare persone, confrontarsi e mai rimanere per troppo tempo in una condizione di solitudine. Io sono caduto più volte, piangevo, soffrivo, ma nonostante questo davo a me stesso le opportunità per rialzarmi: frequentavo la parrocchia, le associazioni, le lezioni di canto, quelle di pianoforte e tanto altro. Il rapporto con gli altri è stato una grande opportunità, di aiuto.
Descriviti con tre aggettivi.
Solare, ho una luce dentro di me che avverto fortemente, gradualmente si è resa concreta e autentica.
Fiducioso, mi fido degli altri.
Intraprendente, tendo ad abbattere sempre i limiti che mi bloccano nell’ambito del lavoro, del sociale e non mi fermo davanti a nulla. Amo osare.
In qualità di vicepresidente dell’Unione italiana ciechi e ipovedenti (sezione provinciale di Potenza), raccontaci i progetti di questa lodevole associazione.
L’associazione è una famiglia vera e propria. Noi sosteniamo i soci, li affianchiamo per quanto concerne le informazioni e le pratiche burocratiche e nel coinvolgimento di attività di inclusione sociale e lavorativa (gite sociali; percorsi di orientamento e mobilità; percorsi digitali ecc.). La bellezza di questo sodalizio è la versatilità, è un mondo in cui conduciamo gli altri nel buio ma non nel senso negativo. Ci rendiamo conto di quanto la vista porti al giudizio, mentre il buio induce all’ascolto. Questo lo facciamo nelle cene al buio, nei percorsi sensoriali al buio e in tante altre attività. Oltretutto, sensibilizziamo molto la tematica sotto l’aspetto della cura e della prevenzione.
Quale messaggio ti senti di lanciare ai tanti giovani che, a causa di svariate motivazioni, incorrono nel buio dell’anima e nello scoraggiamento?
C’è sempre una doppia possibilità. Il dolore bisogna viverlo, accettarlo, accoglierlo, non reprimerlo, non scappare dai momenti di crisi. Bisogna ricordare che c’è sempre una soluzione a qualunque cosa. La vita è bella anche nel dolore. Vivere è un dono immenso da accogliere, sia nelle gioie che nei dolori. Io dico sempre ai ragazzi, anche nelle carceri, che c’è sempre una doppia possibilità. Sorridere è importante. Essere grati è indispensabile.
Il tuo motto di vita?
“Chiedimi se sono felice”.
Carmen Piccirillo