Pare che l’ordine occidentale stia cadendo a brandelli: Trudeau, despota canadese dei vaccini si è dimesso, in Croazia il candidato globalista e filo Nato alla presidenza è stato battuto a furor di elettori, in Austria si segnala l’ascesa di Herbert Kickl, figura “di destra pro-Putin” dell’Fpö che ora potrebbe diventare primo ministro, in Georgia è fallita la rivoluzione colorata, in Germania si attende l’ondata dell’Afd. Alex Kreiner scrive:  “la verità è che la gente comune si è stancata delle bugie, dell’odio, dell’ostilità e delle guerre, così come del cibo-spazzatura intellettuale e culturale che è diventato il rancio pervasivo tra le nazioni occidentali.”

Sono d’accordo, tuttavia occorre distinguere l’effetto Trump da Trump stesso e soprattutto dalle esigenze di un impero in declino che rimangono tali qualunque siano i personaggi al potere. E se l’Europa sta uscendo dal tunnel della follia ciò sottolinea ancor di più il fatto che essa ha perso da molti anni la sua battaglia per l’autonomia. Ciò che sembra sfuggire alla maggior parte delle analisi è il collegamento diretto che esiste tra il mancato collasso della Russia dopo l’assalto Nato portato attraverso l’Ucraina e il disfacimento socio economico dell’Europa. Eppure le cose sono chiare: per Washington, il crollo del nostro continente non è una tragedia, ma un obiettivo strategico che affonda le sue radici già nella fine del XIX secolo. Secondo i principi della geopolitica anglosassone  l’integrazione russo-europea sarebbe catastrofica per l’asse atlantico tra Stati Uniti e Gran Bretagna. Perciò, con l’imminente vittoria militare della Russia e la riabilitazione di Mosca come potenza geopolitica eurasiatica, gli americani e gli inglesi stanno perseguendo una strategia di “terra bruciata” in Europa.

Lo vediamo in filigrana nella questione del gas. Le sanzioni per impedire l’afflusso di risorse energetiche dalla Russia, l’attacco terroristico al Nord Stream e infine  la chiusura della rotta ucraina verso l’Europa, voluta da Zelensky su chiaro suggerimento americano, sono eventi che si inseriscono nello stesso contesto strategico: si vuole provocare un collasso energetico in Europa per consentire la deindustrializzazione con una conseguente crisi economica e sociale che paralizzi il continente. L’obiettivo finale è un’Europa in rovina, non solo riluttante, ma anche incapace di costruire future relazioni strategiche con Mosca.

Sembra impossibile che le élite politiche europee non l’abbiano capito anche a fronte di un QI spaventosamente modesto e di un’etica inesistente. Le nazioni di questo continente ora devono pagare il gas americano, cinque volte più caro per le nostre industrie rispetto al prezzo praticato negli Usa, o cercare triangolazioni per acquistare gas o petrolio russo da altri Paesi, ma ovviamente a un prezzo molto maggiorato, oppure tentare  di espandere l’uso delle uniche due rotte rimanenti per il gas russo via Turchia e Mar Nero. Ma anche in questo caso, è evidente che Ankara cercherà di aumentare i propri profitti perché oltre al lucro diretto ha pure interesse ad “accogliere” le industrie europee in fuga.

Negli ultimi tre anni ci hanno fatto credere che la sostituzione del gas russo sarebbe stato semplice: ma di fatto in gran parte acquistiamo quello stesso gas sottobanco e a prezzi molto maggiori. Ai cittadini preoccupati si è anche fatta balenare la favola di gas a basso costo attraverso l’atteso progetto di gasdotto Qatar-Turchia attraverso la Siria. Ma ecco che la Siria non esiste più e con la caduta del governo legittimo di Bashar al-Assad, tanto festeggiata dagli europei più idioti o più servi, i tempi si allungano alle calende greche. L’ottimismo con cui si era spacciata questa possibilità quale antidoto alla dipendenza dell’Europa dal gas russo o dal gas asiatico e americano, non ha più ragione di essere: senza Assad, Damasco è diventata uno “stato fallito”, con il territorio diviso tra varie fazioni in costante lotta tra loro. È improbabile che ciò cambi, semplicemente perché i protagonisti strategici (Israele e Stati Uniti) non sono interessati a una pacificazione come potrebbero esserlo Turchia e Qatar. Tel Aviv preferisce una Siria polarizzata e dilaniata dalla guerra, incapace di impedire i propri avanzamenti territoriali e Washington, subordinata agli interessi israeliani dalla lobby sionista, è interessata alla stessa cosa oltre che, ovviamente, a promuovere i terroristi curdi di propria spettanza, per peggiorare ulteriormente la situazione interna in Siria.

In questo quadro che si direbbe fatto apposta per continuare a vendere carissimo il gas americano alle sue vittime europee, un eventuale gasdotto, anche ammesso che si riesca a realizzarlo, sarebbe un vulnerabilissimo ostaggio. In altre parole, gli analisti europei, anche ammesso che siano in buona fede, ancora non capiscono che i decisori dell’asse unipolare semplicemente non vogliono risolvere i problemi dell’Europa. Non è nell’interesse degli Stati Uniti che i suoi “partner”  dispongano ancora una volta di energia a basso costo e di una forte base industriale perché non sia mai che vogliano in futuro collaborare con la Russia.

fonte:

Di BasNews

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