Ieri mi sono dedicato a mostrare come la politica dei dazi – a parte il suo utilizzo strumentale immediato – sia alla lunga un vicolo cieco che non potrà portare alla reindustrializzazione degli Usa, oggi voglio occuparmi di un altro cul de sac in cui si trova la Casa Bianca: ovvero l’accanimento contro l’Iran probabilmente suggerito dalla necessità di dover mantenere l’appoggio della lobby sionista di Washington. In effetti non ha nessun senso cercare la pace in Ucraina per poi aggredire in maniera del tutto ingiustificata l’Iran: se – come si dice -Trump vuole tendere la mano alla Russia per spezzare l’asse tra Mosca e Pechino, questa strada è totalmente assurda perché, non solo è entrato in vigore un trattato di partenariato globale fra Mosca e Teheran, ma esistono molti legami tra la Cina e l’Iran che è membro dei Brics e della Shanghai Cooperation Organization, oltre che uno degli snodi della Via della seta. Non a caso ieri sono volati a Mosca i massimi rappresentanti della diplomazia cinese e iraniana per ribadire amicizia e unità d’intenti e proporre che la questione sia discussa all’Onu e risolta in quell’ambito.
Per prima cosa, visto che sull’informazione mainstream e anche sulla rete la disinformazione galoppa senza freni, va detto che questa nuova ondata di minacce verso Teheran non ha alcun senso perché l’Iran ha sempre rispettato le limitazioni poste al suo programma nucleare, forse troppo vedendo come tutto questo sia inutile. In particolare ha accettato di arricchire l’uranio solo fino al 3,67% per 15 anni. Questo livello è sufficiente per scopi energetici civili ma ben al di sotto dei livelli di grado militare. Ha ridotto il numero di centrifughe installate da circa 19.000 a 6.104. Ha ridotto a soli 300 chili le scorte di uranio a basso arricchimento e le possibilità di arricchimento dell’uranio sono state limitate al solo impianto di Natanz. Ma questo non basta: gli Usa vorrebbero che l’Iran abbandonasse ogni aiuto all’Asse della Resistenza, ovvero Hezbollah e Houti e per giunta decapitasse anche il suo programma missilistico, cosa che non solo era al di fuori di ogni trattativa, ma anche al di fuori di qualsiasi trattato o regola internazionale. Oltretutto questa richiesta trumpiana dell’ultima ora sembra dettata da Tel Aviv, scottata dalle due salve missilistiche iraniane che hanno mostrato la vulnerabilità di Israele. L’incontro a Mosca è servito a far capire a Trump che in caso di conflitto l’Iran non sarà solo.
Immediatamente i toni sono calati, tanto che l’inviato di Trump, Steven Witkoff, un diplomatico all’americana, ovvero non molto differente da un ricattatore, ha iniziato a parlare della necessità di “rafforzare la fiducia” e persino di “risolvere i disaccordi”, facendo così intendere di essere nuovamente interessato ai colloqui indiretti sul nucleare, vale a dire a più voci. Ma ciò che a Washington si fa ancora fatica a comprendere è che sia la Russia, sia la Cina sono ben consapevoli che il “gioco” della politica americana consiste per l’appunto nell’impedire i cambiamenti planetari verso un mondo multipolare, guidati appunto da Mosca e Pechino, e sono anche consapevoli che solo rimanendo alleati potranno dissuadere gli Usa dal tentare di rimanere sul trono mondiale, magari usando anche la forza. Dunque non si capisce che senso abbia aprire prospettive di pace in Ucraina per poi vanificarle con l’atteggiamento preso contro l’Iran.
A questo proposito sarebbe interessante capire chi ha suggerito a quell’ignobile pagliaccio di Zelensky di dire che ci sono anche truppe cinesi che combattono con i russi. Si tratta di una balla ancora più grande di quella dei coreani a Kursk, ma tende a implicare direttamente Pechino e forse ad allontanarla dal tavolo della pace. Quale sinedrio globalista gli avrà suggerito di dire queste sciocchezze? Londra, Bruxelles, Tel Aviv o qualche personaggio del deep state americano? Non si sa, ce n’è per tutti i gusti e i disgusti.
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