• Francesco Guadagni

Nella parte finale delle celebrazioni per il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini si è accesa una piccola luce riguardo la morte del Poeta ucciso barbaramente all’idroscalo di Ostia nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975. Per la commissione parlamentare antimafia della scorsa legislatura, dietro l’omicidio di Pasolini ci sarebbe il furto delle bobine del film Salò o le 120 giornate di Sodoma e fra gli esecutori la Banda della Magliana. Abbiamo chiesto all’avvocato Stefano Maccioni del Foro di Roma, già legale di Guido Mazzon, cugino di Pasolini, autore del Libro “Pasolini. Un caso mai chiuso, quali scenari possa aprire la relazione dell’antimafia e quali elementi sono ancora ignorati affinché emerga la verità sulla morte del poeta non quella giudiziaria del pervertito ucciso per la reazione di un ragazzo di 17 anni. Maccioni nel 2009 fece riaprire il caso Pasolini permettendo, grazie alle indagini successive, il ritrovamento di tre Dna sui reperti dell’assassinio. La sua ricerca, come ci ha tenuto a precisare, parte da una base “laica”. Maccioni è anche ostinato, per nostra fortuna, e non esclude una nuova richiesta di apertura delle indagini anche in base all’ultima relazione dell’antimafia.

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L’INTERVISTA

Come è nato il suo interesse per Pasolini? Ha letto le sue poesie, i suoi romanzi.si suoi editoriali sul Corriere della Sera, visto i suoi film, prima che fosse anche un legato alla sua attività di avvocato?

No, è proprio questo che mi ha permesso di vedere l’omicidio in maniera che definirei del tutto laica. Nel 2008 comincio ad occuparmi del Caso Pasolini come cold case insieme ad una criminologa Simona Ruffini, mi appassiono a questa vicenda ed inizio a studiare le carte processuali e tutto quello che riusciamo a reperire come il fascicolo processuale del processo di primo grado contro Pino Pelosi. Il mio è stato anche un interesse fortuito ma legato alle vicende giudiziarie. Non ho affrontato la vicenda dandogli un taglio politico oppure di parte, ma in maniera asettica come se fossero tante tessere di un puzzle su un tavolo e cercavo di ricomporre l’omicidio attraverso un movente e attraverso l’individuazione degli esecutori dell’omicidio.

Quando ha cominciato a leggere le carte processuali e altri materiali sul caso Pasolini qual è stata la cosa che immediatamente non l’ha convinta di questa verità ufficiale che permane sulla morte di Pasolini da 47 anni?

Già quello che non convinceva il Tribunale dei minorenni di allora presieduto da Carlo Alfredo Moro, ovvero sia che Pino Pelosi fosse stato l’unico autore dell’omicidio. Quando faccio incontri per la presentazione del mio libro, “Pasolini. Un caso mai chiuso” durano anche due ore per spiegare solo alcuni dettagli, ecco perché mi scandalizzo quando leggo degli articoli di mezza paginetta che pensano di riassumere tutto l’omicidio. Per parlare dell’omicidio Pasolini in maniera approfondita servono varie ore. Quello che comunque da subito non mi ha convinto è che un ragazzo di 17 anni, Pino Pelosi, da solo, abbia potuto compiere quel tipo di delitto. Dalle macchie sui vestiti, alle lesioni inferte alla vittima, alla modalità successiva su come viene confessato il delitto.

Gliene dico una fra tutte, l’elemento forse più emblematico che desta veramente stupore. Pino Pelosi, una volta compiuto il delitto, fu fermato dai carabinieri una volta scappato con l’Alfa GT del Poeta dal luogo dell’assassinio, la prima cosa che avrebbe chiesto fu: “Ho perso il mio anello”. Ora poiché il diritto penale è fatto di tanto buon senso, io mi pongo questo di problema: Può un ragazzo di 17 anni che ha subito una tentata violenza sessuale come dice lui, che è scappato uccidendo una persona, infliggendoli quel tipo di lesioni, sormontandolo con l‘Alfa Gt, può appena fermato dai carabinieri chiedere di trovare il suo anello?

Un anello, tra l’altro privo di valore. Quell’anello è la chiave di volta dell’omicidio. Deve pensare che nel momento in cui verrà ritrovato a fianco del corpo di Pasolini in un periodo in cui ancora non c’erano esami scientifici, era la firma del delitto da parte di Pino Pelosi. Ecco perché era fondamentale quella richiesta di Pelosi. Ecco perché è fondamentale una annotazione fatta dai carabinieri dopo l’arresto di Pelosi.

Cosa diceva questa annotazione?

L’annotazione riguardava questo: quando i carabinieri di Ostia accompagnano il ragazzo alle 4 del mattino da Ostia fino al Casal del Marmo, il carcere minorile, si sarebbero fermati sul ciglio della strada dove avevano fermato Pelosi per cercare questo anello che il ragazzo chiedeva con tanta insistenza. Li immaginate due carabinieri che alle 4 del mattino prendono le torce con un arrestato in macchina e si mettono a cercare un anello sul ciglio della strada? Già questa cosa è di per sé paradossale e si capisce dove si vuole arrivare. Cioè si vuole far credere che lui esclusivamente sia stato l’autore del reato.

Ci sono altri aspetti incomprensibili dal punto di vista processuale e investigativo sulla vicenda?

Il dato di fatto è che la sentenza di primo grado aveva concluso con la presenza di ignoti. Questo presuppone il fatto che il Tribunale non aveva creduto alla versione di Pelosi e ad una determinata narrazione dei fatti. Quindi, a quel punto, quello che rimane incomprensibile non è tanto la sentenza del Tribunale dei minori che è logica, a leggerla oggi non c’è niente da eccepire. Resta incomprensibile il dopo. Perché una Procura generale impugna la sentenza? Perché una Corte d’appello stravolge la sentenza di primo grado con argomentazioni che rasentano il ridicolo e con la Cassazione che mette il timbro sancendo definitivamente quella verità che è caduta nel 2015.

Con la sua richiesta di apertura delle indagini?

La richiesta di apertura delle indagini da me formulata nel 2009 sì ha portato alla riapertura effettiva del 2010 dopo le dichiarazioni del senatore Marcello dell’Utri [sul possesso del capitolo mancante di Petrolio ‘Lampi sull’Eni’ NDR], ha portato a fare quegli esami necessari fare, ovvero sia gli esami scientifici sui reperti dell’omicidio che non erano mai stati fatti che è un altro paradosso. Nel 1975 era giustificato, ma non si capiva perché fino al 2010 nessuno si era preoccupato di chiedere gli esami scientifici sui reperti custoditi dal Museo di criminologia di Roma. Quegli esami hanno portato all’individuazione dei tre Dna che potrebbero essere confrontati con quelli di tantissime persone.

Circa una settimana fa la commissione antimafia ha scritto nella relazione finale di un coinvolgimento della Banda della Magliana e che dietro l’omicidio il furto delle bobine del filmSalò o le 120 giornate di Sodoma. Che importanza e che novità emergono da questa relazione?

Intanto, mi riservo di analizzare effettivamente, da avvocato, da quali fonti provengono, come sono stati narrati questi fatti e quali riscontri ci sono. La vera novità non è tanto sulle bobine di Salò. Era già stato appurato che fossero state rubate, che Pasolini le volesse riavere me lo ha confermato nel 2011 il montatore del film Ugo De Rossi, così come nel 2005 era già stato affermato da Sergio Citti. Era emerso anche da un racconto di un barista a Piazza dei Cinquecento che aveva sentito il giorno prima alcuni ragazzi che parlavano della restituzione di queste pizze. Che il furto di queste pizze sia stato l’esca per portare Pasolini all’idroscalo non è una novità.

C’è comunque almeno una novità?

Sicuramente è una novità il fatto che Maurizio Abbatino ha partecipato al furto delle bobine. Abbatino afferma che lui materialmente rubato le pizze di Salò e di altri film. Inoltre, questo elemento va collegato ad altri riguardo la nascente Banda della Magliana. Uno tra tutti è il testimone chiave della vicenda quello che avrebbe visto Pasolini e Pelosi. Perché si badi bene, non bastava la parola di Pelosi di essere stato al Ristorante Biondo Tevere, ma si voleva rafforzare questo con un testimone che è tale Ubaldo De Angelis, il quale disse immediatamente, alle 2 addirittura appena Pelosi confessò l’omicidio, quando venne sentito dalla Polizia e firmò anche una foto dove riconosceva Pelosi. Questo è l’aspetto che ricollega un po’ tutto. De Angelis non è un personaggio comune, ma è il barista presso il quale la Banda della Magliana scambierà le armi custodite presso il Ministero della sanità. Non è un elemento a caso, viene citato questo episodio da un pentito, Sicilia. Quindi non è uno, ma ci sarebbero più indizi che ricollegano una partecipazione della Banda della Magliana.

Non si dovrebbe parlare almeno di “nascente” Banda della Magliana?

Voglio sfatare un mito sul fatto che all’epoca non ci fosse ancora la Banda della Magliana costituita nel 1977 come se fosse una società da un notaio. Io sarei un po’ più flessibile quando si tratta di associazione a delinquere. Magari non era costituita nel 1975, ma alcuni di questi membri erano già in vita e in azione. Che alcune di queste persone abbiano partecipato all’omicidio Pasolini è un dato di fatto. Perché Abbatino dice che ha rubato le bobine, De Angelis è testimone chiave, non fa parte della Banda della Magliana, ma dentro il suo bar si scambiavano le armi. Se si usasse flessibilità ci farebbe vedere tutto in un’altra ottica. C’è proprio la necessità di vedere l’omicidio sfatando tanti luoghi comuni. Mi sono occupato della vicenda di Stefano Cucchi, sono stato il legale della madre Rita Calore, quando abbiamo individuato il movente e lo ha individuato anche il Pubblico ministero siamo venuti a capo della vicenda. Se non si scopre il movente effettivo su chi voleva uccidere Pier Paolo Pasolini non si viene a capo di niente. Né degli esecutori e tantomeno che dei responsabili che erano molto più in alto. 

La questione del mancato approfondimento dei confronti dei tre DNA rivenuti sui reperti ostacola l’individuazione di esecutori e mandanti?

Nel delitto di Garlasco sono state fatte migliaia di prove incrociate per l’individuazione del soggetto responsabile. Nel nostro caso sono state fatte 33 comparazioni e tutte ovviamente negative. Se noi abbiamo tre DNA comparabili, ad esempio il proprietario del plantare [reperto ritrovato nell’Alfa Gt di Pasolini NDR]. Noi abbiamo il Dna di quel plantare, quindi un nome e un cognome. Se noi individuiamo quella persona, ci dovrà dire, se ancora in vita, perché quel plantare che normalmente usava si trovava nella macchina di Pasolini, visto che la cugina il giorno prima l’aveva lavata e non c’era assolutamente niente. Abbiamo una prova specifica di responsabilità nei confronti di qualcuno. Lo stesso dicasi per la macchia di sangue sulla maglia e sui jeans di Pasolini. Noi abbiamo tre firme degli autori. Se noi facessimo una comparazione allargata sulla malavita dell’epoca, su quella determinata fascia di persone, forse qualcosa troveremmo, questo non è stato fatto.  

C’è ancora uno spazio per trovare la verità su Pasolini, quando si spegneranno i riflettori delle celebrazioni del centenario?

C’è una caratteristica, ogni volta che io tento di allontanarmi da questa vicenda qualcosa mi riporta sempre dentro. La chiusura delle indagini è avvenuta ufficialmente nel 2015. Nel 2016 ho richiesto una commissione parlamentare di inchiesta, eravamo quasi vicini all’obiettivo, c’era stata una legge approvata, nominata la relatrice, con la caduta del Governo Renzi cadde anche la commissione parlamentare di inchiesta. Dal 2017 ho richiesto la riapertura delle indagini allegando una nuova consulenze di un genetista forense. Il RIS ha ribadito che ci sono tre Dna che possono essere riesaminati. Ho allegato non so quanti elementi nuovi tra testimonianze convergenti richiedendo alla Procura della Repubblica di Roma di riaprire il caso, di indagare sul movente. Sempre nel 2017 la Procura di Roma mi risponde che quello che si doveva fare si era fatto e che non c’erano altre poste da esplorare. Apro una parentesi: nella mia opposizione all’archiviazione nel 2015 chiesi che il Gip restituisse gli atti al Pm, tra le altre cose per risentire Abbatino, per sapere se fosse lui quello in foto, indicato anche da un’altra persona che era lì quella mattina sul luogo del delitto, per chiarire altri aspetti. Abbatino non venne sentito. Ora l’amarezza che ho proviene dal fatto che se nel 2015 fosse stato sentito come ha fatto la commissione antimafia non avremmo potuto anticipare di sette anni questi aspetti esplorando anche nuove circostanze? Adesso l’unica ipotesi che vedo all’orizzonte, siccome sono molto cocciuto, perché ad un certo punto qualcuno si dovrà prendere le proprie responsabilità nei confronti della Storia, è quella di chiedere la riapertura delle indagini basta proprio sui risultati relativi ad Abbatino della commissione antimafia. Su questo e su quello che è stato raccolto finora si potrebbe riaprire l’indagine. Un’istanza del genere non escludo che la proponga anche dopo il centenario. Molti dopo il centenario si dimenticheranno della morte di Pasolini, io continuerò ad occuparmene, anche in altre forme.  

Fonte:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-morte_pasolini_avvocato_maccioni_indagare_su_movente_dellomicidio_non_escludo_nuova_richiesta_indagini/5496_48274/

Di BasNews

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