Macron rompe il tabù della sovranità limitata dell’Europa. Dice l’indicibile: «Gli europei non siano vassalli degli Usa». Giusto. Ma a che serve? A che serve sollevare un problema, sì cruciale, ma che nessuno oggi ha la concreta possibilità di risolvere?
Si può certo ribattere che il presidente francese ha comunque lanciato un sasso nello stagno dell’immobilità e del minimalismo europei. Perché non c’è dubbio che la dipendenza strategica dagli Stati Uniti e l’incapacità dei Paesi Ue di pensare una comune prospettiva geopolitica siano questioni sempre più pressanti, soprattutto alla luce della guerra in Ucraina e dell’incombente conflitto Usa-Cina per Taiwan.
Però tali questioni, per certi versi esistenziali per l’Europa, andrebbero affrontate in ambiti assai più riservati e discreti, soprattutto dopo un’attenta verifica dell’esistenza di una concorde volontà politica da parte dei Paesi fondatori dell’Ue. Tutte cose che non sono, purtroppo, per niente affatto alle viste.
E allora forte è il sospetto che l’esternazione di Macron sia in realtà dettata da una frustrazione personale, unitamente a un interesse, non europeo, ma spiccatamente francese, vale a dire il rilancio del ruolo della Cina per un cessate il fuoco in Ucraina proprio mentre Parigi sigla con Pechino una serie di importanti accordi commerciali. Per quello che invece riguarda la frustrazione di Macron, ci riferiamo al suo vano proporsi, dall’inizio della guerra in poi, come uomo della pace, un “mission” che appare del tutto al di sopra delle sue possibilità.
Poi il presidente francese coglie sicuramente nel segno quando attribuisce a Pechino chance di mediazione nel conflitto che nessun “player” geopolitico può oggi vantare, men che meno gli Usa, che si sono invece distinti nel XXI secolo (dopo l’11 settembre) nel ruolo di produttori o fomentatori di conflitti: dall’Afghanistan all’Iraq e alle “primavere arabe”, con tutte le loro scie terroristiche che hanno creato destabilizzazione in tutto il mondo (e in particolare in Europa).
Il problema è che Macron, invece di lanciarsi in avventure solitarie, dovrebbe innanzi tutto coordinare certe iniziative con le principali cancellerie europee, cosa che si è ben guardato dal fare. E tutto questo un po’, forse, per la consapevolezza delle divisioni politiche dentro l’Ue, un po’ anche, sicuramente, per la voglia di protagonismo e per il desiderio di inseguire il mito della “grandeur”, un ideale che, come sappiamo, ispira in vario modo gli statisti francesi dai tempi di Charles de Gaulle in poi.
Alla fine il “proclama” europeista dell’inquilino dell’Eliseo appare, più che un’occasione mancata, un infortunio bello e buono. Un infortunio per lui, vista la freddezza e l’imbarazzo con cui le sue parole sono state ovunque accolte. E un infortunio, in definitiva, anche per l’Europa, perché vengono inutilmente messe a nudo le divisioni e impreparazioni dell’Ue su un tema strategico come la sua autonomia nei principali scacchieri internazionali.
È bene chiarire, a chiosa di questo discorso, che invocare la “sovranità” europea, soprattutto in campo strategico, non vuol dire inseguire un improbabile sogno imperiale, ma significa innanzi tutto tenere lontani conflitti che potrebbero risultare devastanti. «Occorrerebbe –ha scritto il generale Fabio Mini – avviare la realizzazione di una struttura di sicurezza europea indipendente che collabori in forma bilaterale con gli Stati Uniti e chiunque altro condivida i progetti comuni».
Le parole di Emmanuel Macron non avvicinano di certo la realizzazione di questa, più che ragionevole, aspirazione. Parlare in modo velleitario di una seria ambizione equivale a screditarla.
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