Il Corriere della Sera, con un articolo di Federico Fubini, si accorge che le “capitali” del mondo iniziano a essere stanche della guerra ucraina, sottinteso del sostegno indiscriminato e indeterminato della Nato a Kiev, che ha impedito finora qualsiasi spazio alla diplomazia.
E che che l’Europa potrebbe iniziare a esplorare le vie diplomatiche. E dà addirittura una scadenza, cioè l’assise dell’Onu di metà settembre…
In realtà, da tempo i cittadini europei sono contrari a tale supporto, come rivelava un sondaggio di fine maggio condotto in Italia, che evidenziava come la maggioranza degli italiani fosse contraria a inviare armi. Sondaggio brandito con coraggio da Michele Santoro, poi scomparso dai radar (che gli hanno fatto?). Se si facesse ora, i numeri sarebbero ancora più schiaccianti. E così nel resto d’Europa. Solo per dire dei tragici limiti delle cosiddette democrazie occidentali, dove i cittadini contano, in questo caso, nulla.
Comunque, per tornare a Fubini, la stanchezza delle cancellerie occidentali è evidente. Sono state costrette a stare sull’attenti per mesi, ma anche ai soldatini occorre dare un po’ di riposo, altrimenti stramazzano, come rischia di stramazzare l’Europa nel prossimo inverno, nel quale esploderanno le bombe a tempo piazzate con le sanzioni: dai costi energetici alle stelle, che si ripercuoteranno su tutto, all’inflazione galoppante, all’invasione dei disperati dai Paesi ancora più poveri.
Tale stanchezza potrebbe sommarsi a quella d’oltreoceano, dove la sfiducia nel supporto all’Ucraina inizia a serpeggiare anche nell’ambito dell’establishment.
Tale indisposizione non ha visibilità, dal momento che i media mainstream fustigano il dissenso, ma di tanto in tanto affiora anche in loro.
È il caso dell’articolo del New York Times di Pietro Baker e David Sanger, nel quale si accenna alla stanchezza dell’opinione pubblica Usa e si commenta: “L’amministrazione Biden non vuole farsi sorprendere a far pressioni su Zelensky per negoziare un accordo con il Cremlino rischiando di premiare l’aggressione armata, ma funzionari e analisti hanno affermato che è difficile sostenere lo stesso livello di sostegno materiale man mano che la fatica della guerra cresce su entrambe le sponde dell’Atlantico”.
“Secondo alcune stime, gli aiuti militari approvati dal Congresso dureranno fino al secondo trimestre del prossimo anno, ma la domanda è quanto tempo possano durare le attuali forniture di armi e munizioni senza degradare la prontezza militare degli Stati Uniti”. Né, continua il Nyt, altri Paesi hanno modo di sopperire.
Peraltro, si tratta di una causa persa, sostiene il giornale citato, che rivela come gli Stati Uniti stiano suggerendo agli ucraini di attestarsi per riuscire a tenere le posizioni attuali, “ma i leader ucraini vogliono andare oltre e ammassare abbastanza militari per organizzare una controffensiva per riconquistare il territorio, un obiettivo che i funzionari americani in teoria sostengono, ma [in privato] dubitano della capacità degli ucraini di cacciare i russi”.
Insomma, neanche gli Stati Uniti credono alla magia degli HIMARS, i lanciamissili che avrebbero dovuto ribaltare le sorti della guerra e che, a parte procurare più morti da una parte e dall’altra (perché i russi risponderanno all’intensificarsi del fuoco), non cambieranno granché.
Una trovata propagandistica, nulla più, e un po’ di pubblicità per quei sistemi d’arma, per poterli vendere in giro per il mondo (chi ne può fare a meno adesso?).
Al di là tutto questo, la stanchezza è grande. D’altronde i neocon e i loro compagni di merende dei media hanno convinto l’Occidente che far la guerra alla Russia era un po’ come farla all’Iraq.
Ma qualche differenza c’è, si inizia a notare. E forse era meglio accorgersene prima di scartare a priori la soluzione diplomatica (condannando alla gogna quanti la propugnavano), per imbracciare decisamente le armi, anzi per inviarle agli ucraini in ossequio al coraggioso motto dell’”armiamoci e partite”.
A suggerire che qualcuno inizia a essere stufo di questa ennesima guerra infinita anche la nota dell’Associated Press, che riferisce di un rapporto dell’Onu sull’eccidio avvenuto presso una casa di cura di Luhansk – 50 civili morti – avvenuto a inizio guerra.
Furono subito accusati i russi, ma la realtà era più complessa, con pesanti responsabilità degli ucraini, che avevano trasformato la casa di cura in un presidio militare, nonostante l’impossibilità degli ammalati di darsi alla fuga. Di fatto hanno usato i malati come “scudi umani”, annota l’AP.
In genere, tali notizie non vengono diffuse, come nulla si sa dei civili morti a causa dei bombardamenti ucraini nel Donbass. Non fanno notizia, al contrario dei civili morti sotto le bombe russe. Questa la ferrea legge della propaganda che l’AP ha violato…
Concludiamo con un altro dato di rilievo. I russi hanno rivelato la consistenza della legione straniera inviata in Ucraina a fianco di Kiev: 4579 “volontari” provenienti da mezzo mondo (al netto della catena di comando, spie, istruttori e altro), provenienti da Usa, Canada, Francia, Gran Bretagna, Polonia etc. La metà dei quali sono stati uccisi (al Manar).
Una rivelazione che vuole essere un monito per altri candidati. Proprio il rischio del teatro di guerra ha costretto i reclutatori ad alzare la paga: il Times ha rivelato che prendono 2000 dollari al giorno, al netto dei costi aggiuntivi per armi, foraggiamento, ospedalizzazione etc. Solo di paga, per ogni volontario servono almeno 60mila euro al mese.
Tra i miliardi investiti dall’Occidente per la guerra ucraina ci sono anche questi costi…
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