Lista di proscrizione? Macché, è tutta colpa di una «mano solerte». Così Franco Gabrielli spiega la storiaccia del report dei Servizi sui “putiniani” finito al “Corriere della Sera” e pubblicato con tanto di foto “segnaletiche”, tra gli altri, del professor Alessandro Orsini e del freelance Giorgio Bianchi.
Non c’è nessun dossieraggio, assicura il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per la Sicurezza. «Nessuno vuole investigare sulle opinioni delle persone». Si tratta solo di un monitoraggio periodico, chiamato “Hybrid Bulletin”, sulla “disinformazione” e le fake news che circolano su media e social intorno a temi sensibili come appunto la guerra in Ucraina. Non c’è nessuna attività di intelligence, ma solo una rilevazione basata su fonti aperte, cioè accessibili a tutti. Il report è curato dal Dis (Dipartimento per le informazioni e la sicurezza di Palazzo Chigi) ed è destinato, in via riservata, ai vari ministeri e organismi che hanno a che fare sia con la sicurezza sia con l’informazione. Particolare importante, la redazione di questo tipo di bollettini è stata decisa nel 2019 dal Governo Conte 2 ed è quindi ben precedente lo scoppio del conflitto tra russi e ucraini.
Sulla guerra in corso sono stati elaborati quattro bollettini. L’ultimo, datato 3 giugno e arrivato ai destinatari il 6, è stato anticipato dal “Corriere” il 5, scatenando il putiferio di questi giorni. Anche perché il quotidiano di via Solferino c’ha messo di suo diverse considerazioni dal tono allarmato e allarmante. Secondo il “Corriere” esisterebbe in Italia «una rete filo Putin complessa e articolata», una macchina ben oliata che si attiverebbe nei «momenti chiave del conflitto, attaccando i politici schierati con Kiev». L’esistenza di una simile realtà –si legge sempre nell’articolo- «allarma gli apparati di sicurezza perché tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo».
Messa così, siamo quasi all’allarme rosso, che giustificherebbe il controllo dall’alto di tutto quello che circola in Italia sulla guerra in Ucraina. Comprensibile l’imbarazzo di Palazzo Chigi e la necessità di precisazioni. «Non esiste una Spectre, un Grande Fratello», dice sempre Gabrielli. E, al fine di sgombrare il campo da ogni dubbio, ha tolto il timbro “riservato” al report, rendendo disponibili ai giornalisti le sette pagine di cui è composto. Il problema, per il sottosegretario, è che il rapporto è stato divulgato, ingenerando con ciò equivoci. «Il fatto stesso che un documento classificato sia stato diffuso è una cosa gravissima e nulla rimarrà impunito».
In attesa di sapere a chi appartenga la “solerte mano” divulgatrice, c’è la possibilità che l’”Hybrid Bulletin” venga abolito. E, in tal caso, gli autori della fuga di notizie avrebbero combinato solo guai, senza ottenere alcun risultato. Viene perciò spontaneo pensare che ci troviamo di fronte al solito polverone mediatico-politico attivato da zelanti agenti allo sbaraglio per chissà quale lotta interna agli “apparati”.
È una spiegazione che può rassicurare, ma che, a uno sguardo più attento, non convince del tutto. Perché, in realtà, la “solerte mano” almeno due risultati li ha ottenuti. Primo, ha permesso di mettere alla gogna una serie personaggi non in linea con il pensiero diffuso. Si può obiettare che le opinioni politicamente scorrette di Orsini e degli altri erano note al pubblico. Questo è vero, ma un conto è ricevere attacchi giornalistici e politici, un altro è ritrovarsi in un rapporto dei Servizi, con il sospetto di fare parte di una “rete filo Putin” che si attiva “nei momenti chiave” del conflitto. Non è la stessa cosa: dalla critica si passa al discredito. E scusate se è poco.
Vale anche la pena di aggiungere che il pubblico non può accorgersi del fatto che le congetture più imbarazzanti non sono in realtà contenute nel documento redatto dagli 007 ma derivano dalla penna di un giornalista, più o meno “imbeccato”. In questo senso, ha fatto bene Gabrielli (d’accordo con Draghi) a divulgare il testo del bollettino.
Il secondo risultato, forse il più rilevante, è che la gogna mediatica suona un po’ come un avvertimento: attenti a quello che dite e scrivete, perché potreste ritrovarvi anche voi in un rapporto dei Servizi sulla “rete filo Putin complessa e articolata”. Ci troviamo in questo caso davanti a un invito all’autocensura.
C’è inoltre un particolare da considerare: solo tre dei nove nomi indicati dal “Corriere” sono in realtà presenti nel rapporto del 3 giugno. Si tratta di Giorgio Bianchi, dell’economista Alberto Fazolo e della giornalista Dubovikova. Nello stesso rapporto non compare ad esempio Orsini. Come mai una simile incongruenza? Lo hanno spiegano Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini nell’edizione 11 giugno del quotidiano milanese. I nomi mancanti risultano dal «monitoraggio dei vari canali» effettuato nei mesi scorsi. È perciò plausibile che tali personaggi siano stati oggetto di attenzione nei bollettini precedenti.
Se ne deduce che la “solerte mano” avrà probabilmente fornito al “Corriere” un quadro più ampio di quello offerto dall’ultimo rapporto, un quadro da risultare quanto più possibile ghiotto da un punto vista mediatico: Orsini fa notizia, gli altri un po’ meno.
Al dunque, gli zelanti divulgatori, tanto allo sbaraglio, non si sono poi rivelati.
A questo punto, sorge spontanea l’antica, immancabile domanda: “cui prodest”? A chi giova?
È difficile pensare che di tutta questa storia possa essersi giovato il premier Draghi. Anzi, a Palazzo Chigi, l’intera vicenda ha creato solo imbarazzo.
In questa operazione c’è in realtà il marchio di quello che gli americani chiamano “deep State”, o “Stato profondo”, cioè l’insieme di tutti quegli organismi e poteri che, in modo perlopiù indiretto e “riservato”, condizionano il dibattito pubblico e dirottano le scelte collettive secondo strategie che passano sopra le teste di tutti. E spesso anche al fuori dei confini nazionali. È lecito pensare che questi stessi ambienti (presumiamo atlantici) siano interessati a mantenere l’opinione pubblica italiana entro i confini dell’ortodossia Nato, in modo da evitare sbandamenti nella politica estera. E in questa operazione di controllo politico possono ben rientrare anche le gogne mediatiche.
A chi rispondono in realtà i Servizi? È un mistero che mai nessuno ci svelerà. Una cosa però è certa: i governi passano, gli “apparati” restano. E fanno quello che vogliono.
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