Salvatore A. Bravo 

Il relativismo frutto del capitalismo non è comparabile con i relativismi che hanno attraversato la storia umana. Il relativismo del nostro tempo ha una struttura profonda nella psiche, nell’emotività e nel corpo vissuto dei sudditi consapevoli o inconsapevoli del capitale, esso consiste nell’indifferenza. I relativismi del passato erano l’elaborazione collettiva delle verità organiche al potere, avevano una forte valenza politica ed etica. Il relativismo era il passaggio obbligato verso il riorientamento gestaltico. Nel nostro tempo il relativismo è “abitudine a vivere i propri personali desideri come verità assolute”. L’individualità ha automatizzato la dimensione del desiderio senza pensiero e senza autoriflessione.

Pensare è stabilire principi etici oggettivi. Non il bene-piacere da vivere nell’attimo fuggente, ma il concetto di bene razionalmente fondato con cui discernere il bene dal male, il capriccio dal desiderio autentico e i mezzi dai fini. Pensare è disalienarsi. Il tempo del capitale, dunque,  inocula nella carne e nel sangue l’incapacità di “sentire il mondo” e di “scandalizzarsi dinanzi al dolore”. L’individualità ascolta solo i propri desideri, si erge a triste divinità terrestre di una mondo senza Eden. Il relativismo del capitalismo oblia il mondo e non lo riconosce. Le soggettività con i social e con l’abitudine ad esibirsi sul gran palcoscenico del mondo non riconoscono l’alterità e vivono in uno stato di continua estranietà rispetto a se stesse e al contesto sociale. L’io narcisistico è dunque strutturalmente fragile, non ha profondità, per cui conduce una vita di superficie. Quest’ultima rafforza la pigrizia del pensiero e l’incapacità di gestire le tensioni capaci di donare “la forma” (i fini oggettivi) con cui progettare e disporsi in modo dialettico con il potere. L’io perennemente abbagliato dal capriccio, l’ultimo uomo nietzscheano in sintesi, si destruttura e gradualmente acquisisce un senso di onnipotenza: i desideri  sono l’afrodisiaco quotidiano da ascoltare e che nessuno può giudicare. Ci si sottrae al confronto, ci si lascia vivere semplicemente, risuona il “Nessuno mi può giudicare”, per cui ci si concede tutto senza mediare le esperienze con il pensiero. Il declino dell’individualità con il suo corrodersi in una molteplicità schizoide senza unità è divenuto il trofeo truffaldino del capitalismo. La  libertà è lasciarsi consumare dai desideri del mercato. La retorica dei “nostri valori”, è in questa macchina del desiderio in cui l’io profondo deve bruciare. L’ideologia del capitale presenta la liberazione dalla verità e dai fini oggettivi come la liberazione da un passato plumbeo che privava l’essere umano della sua naturale tendenza al piacere e all’egoismo. L’individualità gradualmente si abitua alla normalità dell’imperio del suo desiderio dietro il quale il mercato opera, stimola, guida e offre i prodotti per la soddisfazione del piacere. Il mercato non offre solo prodotti, perché tra le merci vi sono anche gli esseri umani mercificati. L’utero in affitto ne è un valido esempio, per poi passare alle infinite proposte erotiche  (sempre comunque concettualmente e praticamente mercificate) da consumare secondo le personali voglie liquide.  I lavoratori sono definiti “capitale umano” da usare e gettare secondo i bisogni del capitale.  In modo trasversale, ricchi, benestanti e precari si accalcano intorno al desiderio totemico che diviene il quotidiano tranquillante con cui tacitare il bisogno di verità e di  senso. Le relazioni delinquenziali hanno origine in questo humus di indifferenza etica e di autoidolatria dei propri desideri. L’abitudine a vivere fuori dal proprio sé profondo deforma il carattere e lo rende ostile verso ogni limite. Il capitalismo ha nel popolo, reso massa abulica, il suo punto di forza. I sudditi difendono il capitale con annesso modo di vivere, in quanto è per loro impensabile riconoscere l’altro e se stesso e porre limiti alla fluidità delle voglie.

Crimine

La libertà non è capire ma godere senza chiedersi i “perché” e senza riflettere sulle conseguenze del proprio stile di vita. I nostri valori, affermazione ripetuta in modo trasversale dai liberali di destra e di sinistra, si riducono a tale cecità che trasforma il mercato,  in cui si è contenuti  in divinità terrena e dalla quale ci si attende l’Eden anche per pochi minuti o attimi. La malinconia dell’Occidente è in questa mitizzazione del godimento che uccide la parola e rende l’altro una comparsa da usare o da eliminare. Il  crimine è dunque la struttura ordinaria non riconosciuta dai molti. Questo è il dramma, dunque, che rende l’agire politico esperienza tragica. Ci si confronta con il muro di gomma dell’indifferenza che ha in orrore il senso del limite e la fatica di darsi una forma etica. L’azione politica ha il compito di attraversare il muro di gomma dell’indifferenza impermeabile al messaggio politico e alla relazione progettante. La verità sul sistema è dinanzi a noi: siamo in piena preistoria nella quale è la forza del denaro e della tecnica a stabilire le relazioni sociali. C’è sempre il perdente o la vittima, tutto l’apparato mediatico addestra alla competizione e all’esclusione e nel contempo si dichiara che viviamo nel tempo dell’inclusione. L’evidenza non è pensata, per cui si resta distanti da ogni forma di pensiero radicale che invoca la conversione al riconoscimento dell’altro e di sé. L’indifferenza costruita e pianificata mediante l’addestramento al narcisimo da vetrina è il tranquillante dei padroni del capitale che ben conoscono il valore politico della destrutturazione delle personalità ormai rese impotenti, in quanto incapaci di relazioni stabili e di gratuità. Gli oppositori del sistema devono prendere atto che si confrontano con una umanità resa mutila del suo senso etico e comunitario e, specialmente, privata di ogni alfabeto emotivo. Per poter ricostruire la politica è necessario pensare il modo per condurre fuori dalle caverne dell’indifferenza che il capitale continua a costruire e nelle cui caotiche profondità ci si perde. Da tale verità bisogna iniziare per riportare la politica al servizio del popolo. Solo la vicinanza può vincere gli strati profondi di indifferenza che si sono sedimentati e che bisogna trasformare in concetti e in vita. L’indifferenza coltivata e pianificata è il modo di dominare del capitalismo. La coscienza di classe si dilegua, al suo posto vi è solo il desiderio personale con le sue frustrazioni e i suoi miti, in questa cornice la speranza è solo attesa del colpo di fortuna e la realizzazione di sogni infantili secondo lo stile della pubblicità. La razionalità conosce in modo impreciso la condizione di manipolazione in cui versano i popoli e gli individui, ma è più forte la corrente infantile e regressiva dell’indifferenza, la quale rafforza la tendenza al piacere polimorfico. L’individuo schizoide è politicamente impotente. Ricostruire la coscienza di classe è impegno a trasformare l’indifferenza pulsionale in emotività partecipativa ed adulta. Il capitalismo della sorveglianza ha prodotto il suo “uomo nuovo”. Il mostruoso è in questa diabolica costruzione che inabissa l’essere umano in una condizione mai conosciuta e che negli ultimi anni si è rafforzata con il transumanesimo.

Homo Deus

Il capitalismo offre la possibilità-illusione di diventare come divinità che vivranno in uno stato di eterno godimento. Siamo dinanzi alle potenze del male storico contro le quali bisogna affinare una nuova azione e nuove categorie di pensiero tese a frantumare l’indifferenza che si nutre di miti ideologici  e  superstizioni. Il suddito spera nella tecno-scienza del capitale radice del suo male. L’assurdo è divenuta la nostra normalità terrifica:

“Il rapidissimo sviluppo di certi settori come l’ingegneria genetica, la medicina rigenerativa e la nanotecnologia induce a diffondere profezie sempre più ottimistiche. Stando ad alcuni esperti gli umani saranno in grado di sconfiggere la morte entro il 2200, secondo altri nel 2100. Kurzweil e de Grey sono ancora più speranzosi. Essi asseriscono che chiunque possieda un corpo in buone condizioni di salute e un altrettanto robusto conto in banca nel 2050 avrà parecchie possibilità di raggiungere l’immortalità sfuggendo alla morte un decennio alla volta. A parere di Kurzweil e de Grey, ogni dieci anni circa andremo in una clinica e riceveremo un trattamento ristrutturante che non soltanto curerà le malattie, ma anche rigenererà i tessuti rovinati dal tempo, e migliorerà le mani, gli occhi e il cervello. Prima che sia necessario sottoporsi a un altro trattamento, i medici avranno inventato una pletora di nuovi prodotti, perfezionamenti e strumenti vari. Se Kurzweil e de Grey hanno ragione, è possibile che alcuni immortali stiano già camminando per la strada accanto a noi almeno se ci capita di camminare lungo Wall Street o la Fifth Avenue. Per essere precisi, costoro saranno in effetti amortali, piuttosto che immortali. A differenza di Dio, i futuri superuomini potranno ancora morire in qualche guerra o incidente, e niente li riporterà indietro dagli inferi. Ad ogni modo, a differenza di noi mortali, la loro vita non avrà una data di scadenza. A meno che una bomba li riduca a brandelli o un tir passi sopra i loro corpi, essi potranno vivere indefinitamente. Circostanza che, con ogni probabilità, li renderà le persone più ansiose della storia. Noi mortali ogni giorno tentiamo la sorte con le nostre vite, poiché sappiamo che esse termineranno un giorno in una maniera o nell’altra. Ecco perché intraprendiamo scalate sull’Himalaya, nuotiamo in mare e facciamo molte altre cose pericolose come attraversare la strada o mangiare fuori casa. Ma se credi di poter vivere per sempre, sarebbe da pazzi assumersi rischi come questi all’infinito[1]”.

Lo scopo  del transumanesimo nella cornice del nostro tempo è la realizzazione di una società castale con i padroni del capitale che divengono semidivinità destinati ad imperare sui sudditi. Il liberalismo ha nel suo grembo d’acciaio il superuomo tecno-biologico.  La distopia del capitalismo tecnocratico è dinanzi a noi, è possibilità reale nella nostra. In questo ambito gli oratores hanno lo scopo di far passare il messaggio della religione tecnocratica coltivando l’ordinaria indifferenza. Gli indifferenti non si oppongono, non resistono, ma si adattano alle condizioni vitali più impossibili. 

I popoli sono accumunati dall’idolatria nella tecnica, essi credono alla religione del transumanesimo con i suoi miti e cosmogonie. Si racconta loro che devono solo attendere e saranno salvi. Bisogna fronteggiare tutto questo per avviare il tempo della liberazione dalla tecno-chiacchiera che confonde e fonde reali potenzialità tecniche e produttive con l’attesa dell’Homo Deus. All’indifferente di ogni classe subalterna si offrono due opzioni: la speranza della lotta comunista con il senso  etico e solidale del limite e dall’altra parte il sistema che con la carezza del male sostiene e consolida l’infantilismo degli indifferenti, liberi di sperimentare anche le esperienze più estreme senza dover pensare e render conto a sé e alla comunità. Questo è il grande compito per il futuro, ovvero abbattere la cortina di ferro dell’indifferenza che divide l’uomo dall’uomo fino a farne  un consumatore privo di anima e di pensiero e indifferente persino al suo reale destino storico.

I nostri demoni

Bisogna esplorare nuovi modi di comunicare e testimoniare la verità. Essere attivisti della verità, essere visibili nel quotidiano per risvegliare l’umanità sopita che langue in ogni persona è il compito dei comunisti.  Marx e i marxisti  possono aiutarci in questo solo in parte, essi hanno combattuto i demoni del loro tempo, noi abbiamo i nostri. I demoni del capitalismo sono impalpabili nelle loro manovre e nella rete dell’inganno che stritolano i popoli. Sono invece palesi gli effetti drammatici e apocalittici che devono essere riportati agli automatismi anonimi che li producono.

Dovremo confontarci con i crimini individuali e sociali del tempo del capitalismo assoluto che nella sua poiesis ricopre le catene con le rose spinose della speranza tecnocratica con cui addestra e alleva mostri. Il primo passo è congedarsi dalle logiche degli insulti e dall’ostilità verso nuovi orizzonti di rielaborazione ideologica del pensiero comunista. La logica dell’insulto è in perfetta continuità con la logica del rasoio che il capitalismo utilizza per dividerci. Fondare comunità che testimoniano la dialettica  nella concretezza delle comunità è il primo passo per testimoniare un’altra emotività che si oppone al mostruoso della sperimentazione capitalistica. L’essere umano resta un essere umano, pertanto se si dimostra con la carne, col sangue e con la parola un modo di vivere conforme alla condizione umana e alla sua eccellenza (il bene e la cura sociale) è possibile cominciare a ricostruire una reale opposizione. È solo l’incipit, senza il quale è improbabile che la preistoria tecno-capitalistica possa avere termine, l’alternativa è l’attesa del disastro-Apocalisse che porterà via innocenti e colpevoli, sudditi e dominatori. L’Homo Deus e l’ultimo uomo coincidono;  l’uomo di plastica del capitale  è tra di noi e  bisogna fare i conti con la sua presenza inquietante, è in ogni uomo e in ogni donna del nostro tempo. La lotta è sociale e interiore.

La lotta comunista ha il compito di riportare l’essere umano alla sua umanità e al bene (natura solidale nella storia), ma ha altresì il compito di respingere la disumanizzazione dell’Homo Deus con cui i “padroni” blandiscono i sudditi, i quali ripongono la loro speranza nella tecnocrazia che li domina, controlla e usa, già nel tempo presente. L’indifferenza non è  confacente all’essere umano, essa può essere vinta, non è la naturale e fatale condizione a cui ogni essere umano deve adattarsi per poter sopravvivere. La liberazione dal’indifferenza è l’obiettivo primo dei comunisti del nostro tempo.

fonte:

Di BasNews

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