La questione degli studenti di nuovo centrale nelle prime pagine dei giornali e nelle aperture dei servizi tv, si può comodamente sintetizzare con due opposte parole-chiave: occupazione o autogestione?
Termini che, nella loro declinazione politica e attivistica, implicano una differenza sostanziale di metodo, di impegno e di lotta.
Fermo restando che il giovane, il quale decide finalmente di uscire dal divano, moderare il suo rapporto compulsivo con i social (che da molto tempo lo hanno allontanato dalla realtà e dalla passione civile basate per definizione sulla “fisicità”, sulla relazione e su una collettività), fa bene a scendere in campo, il tema è: con quale messaggio, con quale scopo oggi: contro il governo Meloni? Per la Palestina? Per la scuola pubblica? Per alloggi più vicini agli atenei? Per il gender?
Tutto giusto, a prescindere dalle opinioni, dai troppi slogan vuoti e dall’oggettiva impreparazione che, salvo rare eccezioni, si manifesta ogni qualvolta sono chiamati a rispondere a domande ben precise. Anche perché l’idealismo è parente stretto dell’integralismo ideologico.
E qui introduco un elemento autobiografico. Al liceo ero il più giovane dei “sessantottini” (loro frequentavano l’ultimo anno, io il quarto ginnasio), e poi successivamente sarei diventato il più “anziano” dei “settantottini”. Ossia, quel momento terribile che ha contrassegnato il passaggio dalla contestazione libertaria agli anni di Piombo, alle stragi, agli opposti estremismi, alla strategia della tensione, ai tanti morti per le strade e davanti le sezioni di partito, soprattutto di destra.
Un dramma che non deve più ripetersi. Per il semplice fatto che a posteriori, come generazione, abbiamo pagato un prezzo altissimo: da un lato, siamo stati “grandi in una storia più grande di noi”; tradotto, ci abbiamo creduto, volevamo cambiare il mondo, eravamo figli di un clima politico totalizzante e rivoluzionario, ma siamo stati strumentalizzati, nel nome dello schema “antifascismo-anticomunismo”, imposto dall’alto dai registi internazionali e nazionali della guerra fredda; dall’altro, ci siamo condannati da soli all’alienazione, all’evasione, all’impoliticità, all’astrattismo dottrinario, al mito incapacitante, alla fuga da ogni presente.
Però esisteva un obiettivo: la contrapposizione, l’antagonismo a un sistema politico, economico, culturale e istituzionale. E sia i giovani di destra, sia di sinistra, combattevano, come combattevamo, contro la società borghese, il capitalismo, gli Usa, rifiutando il parlamentarismo inteso come trappola, delega sbagliata, nomenklatura. Poi, naturalmente ci differenziavamo nella costruzione dell’alternativa: comunismo vs tradizione; internazionalismo vs patria, materialismo vs valori spirituali etc.
Ma adesso, quali progetti hanno gli studenti che occupano? Andare soltanto contro l’esecutivo? Conservare questa scuola? Protestare contro Israele? Legittimo, ma lavorando di cervello con una visione prospettica. E lo spiego subito.
Io rifiuto nel modo più categorico la narrazione da panel o da facile spot, secondo cui quelli di sinistra occupano e quelli di destra pensano solo a studiare (militanti vs secchioni). E’ scontato che andare a scuola significa prepararsi, formarsi per il futuro e in questo l’istruzione pubblica e privata devono essere all’altezza, ma è proprio a quell’età che si forma la coscienza civile e politica del giovane.
Cosa vogliamo, una scuola asettica, che favorisce di fatto come unica agenzia di senso (anzi, di non-senso) la rete-sovrana, i social?
Studiare, formarsi sì, ma non essere indottrinati o eterodiretti. Per questo ben vengano le mobilitazioni dei giovani non discriminando nessuno; mobilitazioni di destra e di sinistra, nel rispetto reciproco, nella pari dignità, allargando gli spazi di libertà e avversando qualsiasi forma di “Stato etico” (di polizia, laicista, green, vaccinista, belligerante etc).
Quello che non voglio è che arrivino gli incappucciati esterni a fomentare i ragazzi, come accaduto al liceo romano Montessori; quello che non voglio è che le occupazioni si riducano a uno sterile, ripetitivo, inutile format, dove magari si fa tutto (musica, esotismo, stupefacenti), meno che prepararsi all’impegno e a discutere di politica. Quello che non voglio è il piagnisteo di qualcuno, che oltre a occupare, si lamenta per il 5 in condotta, appoggiato da genitori ex-sessantottini. Se uno è combattente e crede nell’antagonismo, deve assumersi le proprie responsabilità. Altrimenti la protesta e l’occupazione diventano una mera fiction che prelude a un fine settimana di riposo e di vacanza.
Fa bene quindi, il ministro Valditara, a costringere i ribelli anti-Meloni a uscire allo scoperto. E bene ha fatto la preside del Virgilio Isabella Palagi a organizzare una protesta pubblica con i genitori e docenti stanchi delle occupazioni che ricordiamo sono un reato.
Protesta che ovviamente ha visto un’altra parte di genitori, quelli di cui sopra, schierarsi col diritto di occupazione a prescindere.
Perché non parlare invece, di “autogestione”, concordata con le istituzioni, i presidi, i professori? Col compito di imitare quello che facevamo noi, dopo la stagione della violenza ossia, l’approfondimento condiviso e dal basso, ad esempio, di testi di controcultura, di altra-storia, altra-filosofia etc, la lettura di tutti i giornali, lezioni su come individuare e smascherare le fake news?
Infine, la visione. Manca alla maggioranza delle formazioni giovanili attualmente attive, una visione ampia, solida e futura della società: oscillano tra l’apocalisse ambientalista, la mistica dei diritti civili e la conservazione di un modello politico “antifascista”, nato nel 1946-48 che ha fatto il suo tempo. E bloccano spesso ogni cambiamento sventolando proprio la bandiera del progressismo. Con l’ossessione dell’autoritarismo creano consapevoli o inconsapevoli i germi di un nuovo autoritarismo: il giacobinismo democratico (si legga il fascismo-rosso). Evidentemente Robespierre non è stato studiato a sufficienza.
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