Era fin troppo scontato che le elezioni in Venezuela sarebbero state contestate come sempre avviene quando vincono gli avversari di Washington: la democrazia va bene come citazione, però mai quando viene esercitata davvero. Ma questa volta l’assalto post elettorale a Maduro era già stato preparato da un anno visto che il suo consenso non calava nonostante dovesse guidare un Paese impoverito da assurde sanzioni e che la Gran Bretagna ne avesse addirittura rubato l’oro: davvero scandaloso per gli Usa che vogliono riprendere a rubare il petrolio venezuelano con l’ausilio degli oligarchi locali. Così hanno cominciato a selezionare i loro candidati e a riempirli di soldi. Uno fra questi, l’ennesima donna angelicata della politica era stata scelta come simbolo della crociata anti Maduro, si dichiarava addirittura favorevole alle sanzioni contro il proprio Paese. Senza mezzi termini questa damazza dei circoli bene di Caracas, sosteneva senza alcuna vergogna di fare gli interessi degli Usa.
Questo è il motivo, tutt’altro che inconsistente, che ha portato Maria Corina Machado all’esclusione dalla competizione elettorale, come sarebbe avvenuto in qualsiasi Paese del mondo, tanto più in presenza di prove dei finanziamenti americani al suo movimento politico, il Sumate che di fatto è una creazione del National Endowment for Democracy (Ned), finanziato con milioni di dollari almeno dal 2004. Nessuna sorpresa: questo sinedrio controllato dalla Cia orchestra colpi di stato filoamericani in tutto il mondo ed è stato coinvolto in ogni tentativo di golpe filoamericano negli ultimi 30 anni. La campagna della Machado inoltre si basava essenzialmente sulla privatizzazione della compagnia petrolifera statale Pdvsa – nella quale recentemente sono venuti alla luce una serie di casi di corruzione – in maniera che tutti i profitti non andassero ai venezuelani, ma altrove. Questo è esattamente ciò che vogliono le compagnie petrolifere americane: privatizzare la società petrolifera statale per poterla poi rilevare come “investitori stranieri” per una frazione del suo valore, giustificando l’elevato sconto sul prezzo con la necessità di investimenti.
Privati della Machado le opposizioni l’hanno sostituita con uno scialbo ex diplomatico, Edmundo Gonzalez, che aveva rappresentato il Paese come ambasciatore del Venezuela a Washington e che adesso ha tentato di rappresentare Washington in Venezuela, nonostante la totale assenza di temi politici che non fossero quelli legati alla svendita di petrolio. Qualche discorso noioso e alcuni giri assiso su una poltrona avvitata nel cassone di un pick up o di un camion salutando come il Papa. Avrebbe perso in ogni caso. E tuttavia si dice che le elezioni sono state rubate nonostante il fatto che il processo elettorale in Venezuela sia garantito al massimo livello, e nonostante il fatto che gruppi armati illegali sponsorizzati dai servizi segreti statunitensi continuano ad operare nella zona di confine con la Colombia per esercitare pressioni violente su Caracas e nell’intero Paese.
Ai dirigenti delle opposizioni, completamente legate ai soldi e agli interessi statunitensi non interessano la certezza del diritto o le condizioni dei propri concittadini, bensì i privilegi per le multinazionali americane. Tuttavia, il lettore occidentale non lo sa e apprende invece che la signora Machado è presumibilmente molto popolare in Venezuela e che il presidente Maduro le ha rubato la vittoria elettorale. Perciò adesso dalla lontana Argentina il garzone di macellaio ad honorem Milei invoca l’intervento dei militari come ben si si addice a un servetto di Washington. E di certo il messaggio potrebbe essere facilmente raccolto se non fosse che il patriottismo è alto tra i rappresentanti delle forze armate venezuelane e l’efficienza della Direzione Generale del Controspionaggio Militare del Venezuela (Dgcim) abbia permesso di rimuovere preventivamente gli agenti americani e i loro amici nei ranghi del Ministero della Difesa.
Francamente è incredibile come si possa dar credito a queste farse mediatiche sulle elezioni rubate in Venezuela che vanno avanti regolarmente da trent’anni sin dai tempi di Chavez, accuse che partono peraltro da un Paese nel quale la manipolazione delle elezioni è diventata un’arte o da Paesi come la Francia dove il partito che in termini di voti ha stravinto, si trovi poi in terza posizione come numero di parlamentari. Ad ogni modo il direttore d’orchestra delle proteste, come sempre, è Anthony Blinken, il segretario di Stato americano, che nel suo solito modo arrogante invita la comunità latinoamericana a condannare Caracas. Egli diffonde nei media “serie preoccupazioni” che i risultati delle elezioni presidenziali annunciati dal governo venezuelano “non riflettano la volontà del popolo”. Che si ostina a non riflettere quelle di Washington. Pensa un po’ quanto sono ingrati.