Le elezioni presidenziali negli Stati Uniti segnano un momento cruciale, indipendentemente dal candidato vincente, sia che si tratti di Donald Trump sia di Kamala Harris. Il mondo osserva con interesse, ma anche con una crescente consapevolezza: l’era dell’egemonia statunitense sembra volgere al termine. Gli Stati Uniti, storicamente abituati a mantenere il controllo e l’influenza sullo scenario globale, si trovano ora a fronteggiare sfide emergenti da parte di altre potenze.
L’ascesa della Cina come rivale economico e militare – insieme ai paesi del sud del mondo nel blocco BRICS – e la sua influenza in Africa e nel Pacifico Occidentale rappresentano una minaccia diretta per l’egemonia USA. Mentre Washington continua a preferire un modello di cooperazione gerarchica, in cui resta al vertice, la Cina propone un approccio multipolare, che cerca di suddividere le sfere di influenza in modo più equilibrato. L’elezione statunitense sarà un passaggio, ma non risolverà le questioni fondamentali. Trump potrebbe promuovere un atteggiamento più nazionalista e isolazionista, mettendo in discussione le fondamenta del sistema liberale post-bellico.
Harris, invece, potrebbe cercare di preservare l’attuale ordine liberale, seppure con un’attenzione rinnovata alle debolezze interne. Tuttavia, il mondo non appare più disposto ad accettare ciecamente la leadership USA. La realtà odierna impone una riflessione su una nuova governance globale. Con guerre in Ucraina e conflitti in Medio Oriente, il bisogno di un dialogo multipolare diventa essenziale per la stabilità.
Gli Stati Uniti devono affrontare un dilemma cruciale: adattarsi a un mondo multipolare o insistere su un modello egemonico sempre più precario e vetusto. In ogni caso, il prossimo presidente dovrà confrontarsi con una realtà che supera i confini della politica nazionale e richiede risposte globali.
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