Nessuno si aspettava che Hamas potesse resistere con tanto vigore all’esercito israeliano, ma in realtà la sua vittoria si è delineata fin dal 7 ottobre quando con il suo attacco a sorpresa ha distrutto la più formidabile arma in mano a Tel Aviv, ovvero l’assurda equazione tra sionismo e antisemitismo divenuta obbligatoria in un occidente ormai instupidito. Questo assurdo culturale rendeva impossibile criticare Israele qualunque cosa facesse, qualunque trattato violasse, qualsiasi forma di apartheid e discriminazione si inventasse perché questo significava odiare gli ebrei. E ciò nonostante il fatto che la maggioranza degli ebrei non siano affatto sionisti. L’operazione di Hamas con il suo successo rischiava di sottrarre ad Israele al deterrenza esercitata da decenni, ovvero la sua fama di invincibilità e questo ha fatto perdere la testa a Netanyahu e la suo governo di estremisti inducendolo a cercare una “soluzione finale” per la striscia di Gaza colpendo in maniera indiscriminata la popolazione civile, bruciando con le bombe al fosforo gentilmente fornito dagli Usa, donne e bambini . Ora diventa davvero arduo dire che criticare tale strage significa odiare gli ebrei ed essere antisemiti, espressione peraltro formalmente priva di qualsiasi senso visto che anche i palestinesi e gli arabi in genere sono semiti.
Anzi sta diventando davvero difficile difendere l’indifendibile tanto più quando l’orrore presente cerca di trarre una sua fondazione morale sugli orrori subiti. Mentre è chiarissimo che non c’è nulla di più immorale di una simile prospettiva. Ad ogni modo tutto questo ha trascinato in una palude la macchina delle pubbliche relazioni israeliane, tanto più che Netanyahu ci ha anche messo il pezzo da novanta dicendo davanti alle telecamere che, in effetti, Israele può fare quello che vuole e ottenere comunque i miliardi che gli arrivano dagli Usa grazie al potere dei suoi lobbisti a Washington. Lo stesso governo sionista sta insomma creando una dissonanza cognitiva: non è possibile rivendicare lo status di vittime di genocidio mentre si perpetra un genocidio, oltretutto davanti alla telecamere, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, da quasi due mesi. Tutto ciò inevitabilmente sta portando a una diversa percezione di Israele e del suo presunto diritto ad occupare le terre palestinesi nonostante le risoluzioni prese a suo tempo dall’Onu e mai rispettato. Insomma le questioni irrisolte di Israele ritorneranno in campo e la discussione finirà col riaprirsi insieme al mondo stesso che ricomincia a respirare storia dopo la cattività anglosassone.
Insomma l’azione di Hamas è stata una mossa molto sofisticata ed è strano che i Palestinesi vengano chiamati bestie da chi invece ha mostrato una rozzezza senza limiti e a distanza d 60 giorni non sembra ancora aver ben capito cosa c’è in gioco e cos’hanno combinato. Oltretutto con la strage di Gaza anche i leader dei Paesi arabi che dal 1973 hanno sempre traccheggiato sulla questione palestinese, cercando accordi con Israele per questioni di lucro ora devono cambiare rotta perché altrimenti si troverebbero a dover gestire un forte malcontento popolare. Per di più il grande protettore quello di cui – secondo l’American-Israeli Political Action Committee – le lobby israeliane controllerebbero il 50 per cento del Parlamento, sta a sua volta entrando in una crisi, non è più l’unico attore planetario e la sua popolazione non è più in maggioranza filoisraeliana. I giovani soprattutto che non hanno vissuto le atmosfere della guerre fredda in cui Israele era un avamposto occidentale, vedono chi è torturato e chi il torturatore. Manifestazioni pro Palestina si stanno svolgendo in ogni università (la foto si riferisce a una di queste) con grandissimo imbarazzo delle autorità accademiche che essendo tutte “svegliate” e dedite principalmente all’inclusione dei loro amati sederi sui binari della carriera, stanno vivendo un momento di terribile incertezza da quando l’equazione critica al sionismo = antisemitismo non può essere più essere usata in maniera credibile.
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