Alessandro Quasimodo, attore, regista e poeta italiano, è figlio del poeta italiano Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la Letteratura Italiana (1959), e della danzatrice Maria Cumani.
Diplomatosi come attore nel 1959 alla scuola d’arte drammatica del Piccolo Teatro di Milano, è presente sulla scena teatrale e cinematografica da molti anni. Ha frequentato un corso di perfezionamento sotto la direzione di Lee Strasberg al Festival dei Due Mondi di Spoleto, dove ha debuttato in “Motivo di scandalo” di John Osborne con la regia di Lamberto Puggelli. Ha lavorato, tra gli altri, con Bellocchio, Fellini, Wertmuller, Tognazzi, Stasberg e Ronconi, partecipando a numerosi produzioni cinematografiche: “Il fischio al naso”; “Tutto a posto e niente in ordine”, “Roma”; “Casanova”; “Questo è il giardino”. E’ approdato, poi alla regia, partendo da una ricerca sul teatro di poesia italiano: “L’Aminta”; “Oreste”; “La città morta” e “Fuori non ci sono che ombre e cadono”. Ha partecipato a diverse opere teatrali: “Unterdenlinden”; “Timone d’Atene”; “Il bagno”; “Il compleanno”; “Massacro a Parigi”; “Utopia”; “Il misantropo”; “Il gigante nano”. Tra le produzioni televisive: “Storia di Anna”; “La commediante veneziana”; “Piccolo mondo antico”; “La donna in bianco”; “Il Conte di Montecristo”. Per la Rai ha curato un ciclo di ventisei trasmissioni sulla poesia italiana tra Otto e Novecento dal titolo “Saltimbanchi dell’anima”. Ha curato e diretto lavori radiofonici presso la Rai e la RSI; ha creato delle originali forme di spettacolo in cui si incontrano teatro e poesia. E’ presidente e membro di svariati Premi letterari italiani ed esteri, tra cui, per l’Italia: Premio Città di Castello, Ada Negri a Lodi, San Domenichino a Marina di Massa, Lorenzo Cresti a Firenze, Thesarus a Isola Albarella, Energia per la vita a Rho (Mi), e molti altri. Nel giugno del 2014 è stato pubblicato un libro a lui dedicato: “Alessandro Quasimodo, biografia per immagini” a cura di Vittorio Del Piano.
Maestro, lei ha dichiarato che Salvatore Quasimodo, suo padre, “era come un fico d’India”. Cosa intende?
Quando la casa editrice Mondadori mi ha chiesto, per l’ultimo libro dedicato a Salvatore Quasimodo, una sua foto inedita per la copertina, ho suggerito di fotografare un fico d’india: la copertina che abbiamo scelto, quindi, lo rappresenta, e l’idea ha avuto molto successo. Se il fico d’india viene maneggiato sbadatamente, le spine pungono inevitabilmente le mani, se invece viene maneggiato con garbo, si riesce ad aprirlo: l’interno è dolce. Bisognava arrivare al cuore del fico d’india, e quindi al cuore di Quasimodo. Bisognava cercare di avere la sua attenzione. Lui, a volte, considerava maggiormente le persone esterne, piuttosto che la sua famiglia. La metafora del fico d’india, quindi, si riferisce alla difficilissima penetrabilità di mio padre, ma era possibile arrivare, con delicatezza, al suo cuore per dialogare tranquillamente.
Acque e Terre” (1930), Ed è subito sera” (1930), “Oboe Sommerso” (1932)
sono opere in cui Salvatore Quasimodo si focalizza sull’infanzia in Sicilia e sulle figure dei cari lontani. Lei come interpreta queste sue raccolte?
Ripercorre spesso la figura della madre, del padre, dell’infanzia, che diventa mitica per lui. In realtà lo fa in tutte le sue opere, da siciliano era molto legato al nucleo familiare, all’appartenenza. L’infanzia gli è stata sottratta perché il padre è stato mandato a Messina subito dopo il terremoto del 1908: un ragazzino di sette anni, quindi, non ha più potuto godersi la figura paterna, non ha più potuto giocare come tutti gli altri bambini. Il senso della morte è entrato molto fortemente in lui: infatti, è una parola, un tema ricorrente nella poesia di Salvatore Quasimodo. Dopo la guerra, giorno dopo giorno, lui diventa l’unico poeta civile dell’Italia.
Il suo contatto continuo con la morte, così come con il vivere per due anni in un vagone ferroviario adibito a casa, con il vedere le persone sorprese a rubare nelle case distrutte, i fucilati sullo spiazzo della stazione, e tanto altro, sono qualcosa che, miticamente, ritorna nei suoi versi. Nella sua poesia cerca di rimanere molto legato all’infanzia, all’adolescenza: una parte di Salvatore Quasimodo si aggrappa a questo spirito, che non ha mai trovato davvero, ma è stato per lui un “recupero” di qualcosa di perduto. “Lettera alla madre” -all’interno de “La vita non è sogno” – è una delle sue poesie più famose. In questo caso, “La vita non è sogno”, rappresenta un titolo contradditorio: nelle sue poesie vi sono tante immagini oniriche.
Quando suo padre vinse il Premio Nobel per la Letteratura italiana, lei aveva vent’anni. Quali sono state le emozioni prevalenti?
L’ho presa molto normalmente, non sono mai stato orgoglioso di dire “sono il figlio di un Premio Nobel”. Anagraficamente sono il figlio di mio padre, non c’è mai stata in me la vanità, l’esaltazione dell’entusiasmo, ho sempre vissuto le cose con molta tranquillità. Naturalmente sono stato molto contento per lui.
Lei collabora, da svariati anni, con il ricco team della casa editrice Aletti. Come vive questo confronto?
Si tratta di una collaborazione costruttiva. Negli ultimi tempi sto registrando per Aletti molti audiolibri. Mi occupo, inoltre, di prefazioni, partecipo a molte premiazioni che mi riguardano, tra cui Quasimodo-Cumani.
Quale messaggio vuole lanciare ai poeti affinché perseguano nei loro progetti?
Dico loro di non fermarsi, di scrivere, scrivere, scrivere. I momenti di sfiducia devono essere visti come una spinta alla creatività, e non come un blocco. La cosa importante è non aver paura di bruciare dei fogli, non cedere all’arrendevolezza. Bisogna cercare di avere qualcuno di cui ci si fida, che abbia una buona cultura, che sia un lettore, a cui far leggere i propri componimenti, e non alla sorella, alla mamma, all’amico di famiglia.
E’ bene considerare la poesia come un meccanismo liberatorio, è come andare dallo psicanalista. Una parte di sé, si realizza attraverso i versi. Un’altra cosa che dico sempre è di leggere senza sosta, acculturarsi è importantissimo.