di Aldo Di Lello

Landini e Schlein insieme a Bologna: l’hanno già soprannominato il patto del tortellino. In realtà si tratta del patto della stampella: l’uno dovrebbe sorreggere l’altra, nella speranza che l’unione di due debolezze possa fare, una volta tanto, una forza.

L’intesa siglata sabato scorso tra il leader del Cgil e la segretaria del Pd ha comunque un certo rilievo politico perché segna il riavvicinamento tra il sindacato “rosso” e il maggiore partito della sinistra dopo anni di freddezza e di incomprensioni. I rapporti tra l’organizzazione oggi guidata da Maurizio Landini e il partito di largo del Nazareno avevano già cominciato a deteriorarsi negli anni zero del 2000. Tutto ciò in coincidenza con la svolta “riformista” della sinistra italiana e con la nascita del partito a “vocazione maggioritaria” (il Pd, appunto). Ma la situazione precipitò con il Jobs Act imposto da Matteo Renzi nel 2015, una riforma della legislazione sul lavoro che ne aumentò la flessibilità, facendo gridare allo scandalo i puri e duri della sinistra (all’epoca a capo delle Cgil c’era Susanna Camusso). Tant’è che fu proprio l’approvazione della riforma renziana che determinò, almeno secondo gli agiografi della Schlein, l’uscita di Elly dal Pd, partito con cui, come sappiamo, la Schelin s’è ricongiunta sull’onda della trionfale campagna per le primarie.

Landini e la segretaria del Partito democratico ristabiliscono ora lo storico vincolo tra sindacalismo rosso e sinistra in nome della lotta al precariato, il «male assoluto», come lo ha definito Landini stesso nella manifestazione sindacale di Bologna. Sia detto per inciso, tale manifestazione rappresenta il primo di una serie di comizi organizzati da Cgil, Uil e Cisl in varie piazze italiane per protestare contro i provvedimenti approvati dal governo Meloni il Primo Maggio scorso.

L’obiettivo di Cgil e Pd è quello di creare un grande fronte di opposizione sociale alla «politica della destra» dal quale dovrebbero entrambi riuscire rafforzati. Per la Schlein si tratta di proseguire con decisione l’opera di riconquista della sinistra potendo contare sulla spalla sindacale. L’obiettivo è quello di fare il pieno di voti alle elezioni europee del prossimo anno: Elly spera di riportare il suo partito al 25%. Per Landini si tratta invece di ritrovare una solida sponda politica per accrescere il peso del sindacato nella società. Maurizio è  d’altra parte ben consapevole che non si possono più ridestare i fasti della famosa “cinghia di trasmissione” Cgil-Pci (lui non è Luciano Lama ed Elly non è Enrico Berlinguer). Ma potrebbe essere comunque alla portata sia del sindacato sia del partito rifondare l’ ”asse” del lavoro in un momento di crisi sociale come quello che l’Italia sta vivendo da anni.

Il problema, tanto per Landini quanto per Schlein, è che la rinascita della collaborazione tra sindacato e partito arriva in un momento di massima debolezza per entrambi.

Per quanto riguarda il Pd, se anche la neosegretaria riuscisse a riportarlo al 25 % dei consensi, l’effetto sarebbe più simbolico che reale, nel senso che poi il partito di largo del Nazareno si troverebbe comunque con un ridotto potere di coalizione, tale da non creare serie preoccupazioni alla Meloni e al centrodestra. La verità è che pezzi di rilevo si vanno staccando in questo periodo dal Pd. Proprio all’indomani del patto del tortellino (in realtà, come dicevamo, della stampella), la Schlein ha dovuto registrare un nuovo, importante addio: quello di Carlo Cottarelli, il quale ha dichiarato di trovarsi a «disagio» nel partito di Elly. È una defezione seria, perché testimonia la sfiducia crescente che il partito della sinistra-sinistra comincia suscitare nelle classi dirigenti della società.

E la Schlein è sempre più sola anche da un punto di vista politico. Proprio l’alleato in teoria più importante, Giuseppe Conte, guarda con sospetto alla svolta impressa dalla neosegretaria del Pd. Ed è assai significativo che a Bologna il leader del M5S non si sia visto: Conte ha annunciato che il suo partito si mobiliterà autonomamente contro il provvedimenti del governo nel mese di giugno.

Per quanto invece riguarda Landini, la sua forza d’urto è  tutta da verificare. Non per niente, s’è ben guardato dall’appoggiare la proposta di sciopero generale che veniva dalla parte più rossa della piazza di Bologna. La verità è che il segretario della Cgil deve stare attento, perché né Luigi Sbarra (il leader della Cisl) né Pierpaolo Bombardieri (il segretario della Uil) approverebbero una eventuale deriva massimalista del sindacato rosso. Sarebbe una vera catastrofe, per Landini, se il prezzo dell’intesa a sinistra fosse la rottura definitiva di quell’unità sindacale che il leader della Cgil sta tentando faticosamente di ritrovare.

Sono davvero lontani i tempi in cui bastava il semplice annuncio di uno sciopero generale da parte di Luciano Lama per far cadere i governi. A sinistra oggi non c’è più il Pci. E, fatto non meno significativo, al governo non ci sono più i democristiani.

Fonte:

https://www.lospecialegiornale.it/2023/05/08/landini-e-schlein-il-patto-della-stampella/

Di BasNews

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