Domani a Vilnius la Nato si presenterà con una nuova grande vittoria dell’Ucraina: la liberazione da parte della Turchia, sottoposta a una pressione infinta, dei leader dell’Azov. Come a dire finché ci sono nazisti c’è speranza che in fondo è ciò che esprime l’occidente o meglio l’orribile pasticcio pseudo culturale creato della cupola di potere nordamericana e passato per la rituale adorazione incondizionata al resto dell’occidente. Ma è giusto così perché gli Stati Uniti in Ucraina stanno vivendo quello che potremmo chiamare il loro momento Suez. Per spiegarmi bisogna tornare indietro nel tempo di 70 anni, al 1956 quando il presidente egiziano Nasser nazionalizzò il Canale di Suez. Non si trattò di un evento casuale e impulsivo, ma venne preceduto da anni di attacchi impuniti alla Striscia di Gaza (allora sotto il controllo egiziano) da parte dell’entità coloniale in Palestina, che portarono all’uccisione di centinaia di profughi palestinesi e al rifiuto dell’ Occidente di fornire all’Egitto armi per difendersi. L’Egitto si rivolse allora all’Unione Sovietica e le armi furono fornite attraverso la Cecoslovacchia e allora per punire Nasser gli Stati Uniti ritirarono il loro sostegno finanziario alla costruzione della diga di Assuan. In risposta, il leader egiziano rilevò il canale, gestito dal XIX secolo da un consorzio anglo-francese.
La nazionalizzazione era perfettamente legale: l”Egitto stava agendo nel rispetto del diritto internazionale prendendo il controllo di un corso d’acqua che attraversava il territorio egiziano, ma Anthony Eden, il primo ministro britannico, era furioso, voleva che Nasser fosse ucciso e, per riprendersi il canale, complottò con la Francia e con l’entità dei coloni impiantati in Palestina. Il risultato fu l’«aggressione tripartita», l’attacco terrestre e aereo all’Egitto da parte dei tre partner di questa cospirazione. Questa iniziativa, non concordata con Washington, anzi presa con una certa segretezza, irritò molto il presidente Eisenhower che minacciò la Gran Bretagna di porre fine agli aiuti finanziari da cui dipendeva a meno che non avesse ritirato le sue forze: una durezza comprensibile visto che la campagna, anglo-franco- sionista rischiava di degenerare in un conflitto nucleare. Nel giro di pochi giorni Londra sgomberò il campo, assieme alla Francia sebbene l’entità dei coloni sionisti resistette il più a lungo possibile, ma alla fine si ritirò.
In pochi giorni la Gran Bretagna da protagonista di primo piano degli equilibri mondiali mondiali si ritrovò ad essere una potenza di secondo ordine, cosa che peraltro già era scritta nell’inevitabile fine dello sfruttamento intensivo dell’area indiana, Il declino dell’impero di Sua Maestà di preparava da almeno due decenni, ma la consapevolezza di ciò giunse all’improvviso: poco più di un decennio prima Churchill era con Roosevelt e Stalin a delineare il mondo del dopoguerra, sia pure come socio onorario e ora non poteva permettersi nemmeno di avere avere voce in capitolo in Egitto. Da parte sua la Francia, già rovinosamente sconfitta in Vietnam, subirà lo stesso choc pochi anni dopo con la perdita dell’Algeria che segnò il crollo di una certa idea imperiale.. Naturalmente la perdita dei denti non significa la perdita dell’appetito e così sia la Gran Bretagna che la Francia continuarono a intervenire negli affari di altri paesi, ma ora come tribuni sub-imperiali degli Stati Uniti.
Ora, con la guerra contro l’Ucraina irrimediabilmente persa come può vedere chiunque non sia un mangiatore di loto made in Usa, anche con tutta la ridicola narrazione pro Kiev dei media, l’America sta affrontando il proprio momento Suez , quello in cui comincia a rendersi conto di non essere più la superpotenza invincibile, incontestabile ed eccezionale come dopo le due guerre mondiali che distrussero l’Europa. Certo questo processo va avanti già da un po’ grazie alle sconfitte subite in Afghanistan e in Siria, così come sul piano della dedollarizzazione, ma è con la guerra in Ucraina che tutto questo è diventato palese: gli Usa non sono più in grado di decidere l’ordine mondiale, nemmeno con le cattive. Ed è questo che rende il conflitto pericoloso: Washington può scegliere di alzare ulteriormente la posta, con il rischio di innescare una guerra aperta con la Russia che comunque le infliggerebbe danni di tale portata da ridurla a Paese di infimo rango, oppure può reagire in modo più pragmatico, accettare il suo status ridotto in un ordine mondiale più equilibrato e concentrarsi sulla soluzione dei propri gravi problemi interni piuttosto che creando problemi ad altri.
Quest’ultima scelta sarebbe di gran lunga quella più ovvia e accettabile, se gli Usa non fossero dominati da una cupola globalista le cui fortune sono nate nel contesto unipolare e le cui distopie si possono realizzare solo se la leva finanziaria e geopolitica rimane in mano all’America e non sorgano concorrenti come la Sco e gli altri costrutti economici che le sono sorte a fianco. Quindi non possiamo davvero aspettarci che la ragione vinca sui bassi istinti e dobbiamo aspettarci tutto ciò che può accadere quando qualcuno perde la testa.
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