Per l’ennesima volta vado controcorrente. Sapete quanto vale per le casse della società e dei giocatori la vittoria della Roma in Conference League? 20 milioni di euro.
Se pensiamo che il Fmi, per ottenere le privatizzazioni in Ucraina e vincolare questo paese all’Occidente, ha sborsato 18 milioni di dollari, abbiamo il senso di una follia e di una totale scissione rispetto alla realtà, difficili anche da capire. E non solo dal punto di vista morale.
Evidentemente il dramma di un popolo con i morti che aumentano, vale molto meno di una partita di calcio.
Si tratta di un mondo parallelo che parte da lontano e che evidentemente gira benissimo, nonostante la crisi economica, energetica, pandemica, militare. Così come purtroppo vivono in un mondo parallelo (forse a ragione) centinaia di migliaia di persone, chiamati tifosi.
E non importa se aumentano le bollette, se il governo fa schifo, se giriamo tutti con le psico-mascherine, se ci sono pochi soldi, se manca il lavoro, l’aria è inquinata e uno su due italiani non vota.
Tanto c’è il calcio, il dio-pallone, che si aggiunge al dio-vaccino e a tanti altri idoli. Tanto basta sognare, scordarsi i problemi, per una coppa guadagnata, tra l’altro una coppetta, pompata mediaticamente da un allenatore estremamente abile e furbo nella comunicazione (Mourinho in lacrime).
Vittoria che ha fatto sfogare fino a tarda notte centinaia di migliaia di persone, esultanti per aver toccato il cielo con un dito.
Nessuno, ovviamente giudica l’amore per una squadra, la passione sportiva (come romano sono contento), ma la sensazione che si ha è che il tifo, sia diventato idolatria, meccanismo di compensazione utile a riempire mille vuoti. I vuoti di una vita da criceti sulla rotellina, cittadini, definitivamente e irrimediabilmente sudditi, che hanno accettato un passaporto verde per vivere, lavorare. Che hanno come unico sfogo fare i runner per i parchi pubblici e mangiare al ristorante. Sudditi paranoici e ipocondriaci ormai geneticamente abituati al distanziamento sociale, al confinamento privato, in attesa del prossimo certo coprifuoco.
Meno male che il calcio c’è. Insieme alla droga, appunto al cibo, alla pornografia, sicuramente il principale mezzo di evasione collettiva.
Se i romani e non solo, che hanno esultato e strombazzato fino all’alba, ardimentosi di fare casino (per i giovani ogni scusa è buona), o di gioire (i meno giovani), avessero indirizzato questa energia verso lidi più alti, avremmo un popolo degno di nota. In altri tempi, ci sarebbe stata la rivoluzione francese, per quello che il Palazzo ci sta combinando. Ma noi non siamo francesi: siamo grillini con gli altri e berlusconiani con noi stessi. Non abbiamo più una patria, non crediamo più alla politica, al lavoro, alla vita. Non abbiamo più nulla.
L’unica patria che ci resta è solo la squadra di calcio. Una curva per sognare.
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