Le speranze americane in una sconfitta di Erdogan e dunque del rientro della Turchia all’ovile della russofobia e nella stretta osservanza del Washington consensus, si sono disintegrate domenica scorsa per una serie di ragioni tra cui spicca il fatto evidente che la convenienza di mettere la barra ad occidente è ormai un lontano ricordo. Non soltanto il Sultano è obiettivamente alle prese nel nord della Siria con la fazione curda sostenuta dagli americani, non soltanto ha concrete ragioni dio temere attentati stile North Stream ai propri oleodotti, tanto da aver chiesto l’aiuto della flotta russa, per sventare tentativi di questo tipo, ma non ha alcun interessi a legarsi alla partito perdente delle sanzioni tanto più che la maggior parte della popolazione considera in maniera favorevole i legami con la Russia, mentre una maggioranza schiacciante percepisce come ostili gli Stati Uniti e colpevoli della scarsa agibilità del Paese in Medio Oriente.
Ma tutto questo non si è creato oggi, è un disagio che viene da lontano, ma che adesso esplode nel momento in cui una nuova economia si va creando a est con la Sco e con nuova via della seta che sta rivitalizzando terre devastate dalle operazioni e dai comportamenti occidentali: la volontà cinese di avviluppare il mondo asiatico dentro una rete ferroviaria ad altissima capacità: le merci arrivano in una dozzina di giorni dalle principali città industriali cinesi fino in Germania o ad Istanbul , In questo quadro Erdogan ha anche la possibilità di sviluppare l’Organizzazione degli Stati turchi che comprende oltre ovviamente alla Turchia stessa anche Azerbaigian, Kazakistan, Kirghizistan e Uzbekistan, praticamente buona parte dell’ asia centrale. Ci sono poi due osservatori che potrebbero entrare in questa area, ovvero il Turkmenistan e l’Ungheria, la cui lingua fa parte dello stesso ceppo di quella turca. E di certo non è caso se Budapest ha posizioni del tutto contrarie a quelle degli altri Paesi europei europei: sa di far parte di un mondo più vasto che adesso comincia a pesare di più. Erdogan si sente in qualche modo il tutore e il condottiero di questo movimento pan turchista nel quale si sta già pensando a costituire un’area di cooperazione economica la quale sarebbe il trait di union tra Cina, Caucaso e Russia, ma anche con l’Iran quando sarà completato il corridoio ferroviario che unirà Mosca con l’oceano Indiano : Ankara ha già investito ben 85 miliardi di dollari in tutta l’Asia Centrale, con quasi 4.000 aziende sparse in tutti gli “stan”.
Per quale motivo il Sultano dovrebbe legarsi mani e piedi agli Usa che si sa fanno esclusivamente i loro interessi o a un’Europa che non ha alcuna autonomia e che per giunta si sta economicamente suicidando? Sono ormai remoti i tempi in cui la Turchia voleva entrare a far parte dell’Europa: tutti vedono adesso che quel progetto è fallito, che i suoi obiettivi dichiarati erano retorici e mendaci, che la realtà era ben altra. In un certo senso la guerra in Ucraina ha fatto cadere la maschera dietro la quale si celava un insospettabile imperialismo per conto terzi e un disegno di rottamazione della democrazia. Del resto la Turchia ha estremo bisogno del petrolio russo oltre che e delle sue risorse minerali e di certo non vuole strangolarsi con la questione ucraina, tanto più che la guerra non può essere vinta dalla Nato. Né puo pensare di chiudere le porte in faccia alla Cina che può concretamente aiutarla sul piano economico finanziario invece di salire sull’altare del sacrificio di Fmi e Banca mondiale. Certo per un occidentale che vive dentro la bolla della narrazione tutto questo è inconcepibile: chi può resistere allo Zio Sam e a noi che siamo i suoi fedeli servi? Ma uscendo da questo incubo non c’è alcun dubbio che la Turchia ha tutto l’interesse a navigare dove il sole sorge e non dove tramonta.
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