E’ semplice definire una persona sensibile come fragile, vulnerabile o addirittura incapace di affrontare la vita con tenacia. Ma ci si è mai chiesti quanta forza sa dimostrare una persona che “sente” tutto per riuscire a stare in piedi, ogni giorno?
La risposta a questa domanda è chiara: un sensibile sa mettere in atto una resilienza non indifferente, ne dimostra molto di coraggio ma non è “un gioco da ragazzi” riuscire a notarlo in essa, riuscire a rendersi conto di quanto una persona conformata in questo modo e quindi “controcorrente” sia una combattente alla ricerca della vittoria. Ma ci chiederemo: quale vittoria? La vittoria relativa al riuscire a non cambiare, a non perdere e non distruggere il proprio dono, quel dono primordiale, pur essendo consapevole di essere in una condizione costante di “salita ripida”. Sì, perché una delle caratteristiche principali di queste persone è un sentore amplificato a livello interiore che riesce perfettamente a “mettersi in contatto” con gli ambienti circostanti e con gli esseri umani: avvertono la negatività o la positività di una situazione anche “da lontano”, la sentono dentro, sentono lo stato d’animo di una persona amica o addirittura di un passante che si incrocia per strada. Sentire sulla propria pelle e nelle proprie ossa ciò che prova un’altra persona è qualcosa di straordinario, di raro ma naturalmente anche di doloroso, di faticoso. In psicologia, questa capacità viene chiamata “empatia”.
Le origini della parola empatia: deriva dal greco “empàtehia”, composta da en-“dentro” e pathos “sofferenza o sentimento”.
La parola “pathos” (dal greco “paschein” e quindi “soffrire” o “emozionarsi”) veniva usata durante gli spettacoli di teatro per descrivere la partecipazione emozionale tra l’autore e il pubblico.
Pathos, secondo il pensiero greco, è una delle due forze che regolano l’animo.
Il logos è la parte razionale, il pathos è quella irrazionale che può avere connotazioni sia positive che negative.
Le persone sensibili sentono tutto, senza sosta, notano il bene ed il male in maniera amplificata: la buona disposizione degli altri nei loro riguardi, l’affetto, così come anche il rifiuto, il preconcetto, uno sguardo fuori luogo, l’indifferenza, il disamore.
Immaginiamo per un attimo: una persona che, come tutte, deve affrontare la sua quotidianità, il suo bel da fare, la sua attività lavorativa e di conseguenza gli stati d’animo che emergono relativamente ad una determinata giornata e riuscire, inoltre, a gestire lucidamente, anche le sensazioni automatiche correlate all’interiorizzazione delle esperienze esterne.
Insomma, nonostante la sofferenza che la sensibilità può innescare conseguentemente alle sensazioni spesso spiacevoli che si possono avvertire nella propria anima, si può definire un vero e proprio dono.
Giudichiamo spesso “diverso” colui che non sa essere superficiale, leggero o in termini più moderni “sprint”. Proviamo pregiudizi verso una persona che si commuove, per esempio, per un passerotto che non riesce a volare, che piange per un film drammatico o ascoltando una canzone che prova spunti di riflessione.
Alcune persone, spesso, ci impongono modelli di “perfezione” che possono essere raggiunti solamente nell’aspetto pratico della vita tramite il lato razionale dell’essere umano.
Ma quanto sarebbe lesivo snaturare la propria natura ancestrale reprimendo caratteristiche che, invece, hanno bisogno di essere ascoltate, di uscire allo scoperto, di non implodere?
Sicuramente rimanere nella superficie delle cose renderebbe l’esistenza più semplice, più scorrevole, ma non sarebbe colma di sfaccettature che provocano la capacità di guardare tutto ciò che è infinito immergendosi in esso. L’infinito è un’esperienza della mente!
Gli ostacoli rendono capaci di dare spazio all’aspetto creativo e quindi immaginare cosa c’è oltre le barriere di ciò che appare nebbioso. C’è altro, c’è sempre molto altro.
Che senso avrebbe una vita priva di emozioni, di sentimenti? Che senso avrebbe vivere esclusivamente di pragmatismo, di situazioni effimere che non intaccano la sfera interiore a livello intenso? Significherebbe perdere sé stessi e i propri colori, l’anima diventerebbe qualcosa di sbiadito, all’interno della quale con una introspezione riusciremmo a notare solamente il bianco e il nero. Quanto sono importanti le sfumature, la luce e l’inevitabile oscurità? L’essere umano non è solo luce. L’oscurità, se accolta, se compresa, può rendere consapevoli della straordinarietà delle piccole cose, come il sole in cielo, le nuvole, un fiore. Tutto ciò che provoca la capacità di andare oltre e altrove, con gli occhi e con l’interiorità, non è una perdita di tempo, non è fragilità, è forza, è vita, è ciò che fa sentire l’aspetto trascendentale di questa vita, che, in effetti, non ha una fine.
Carmen Piccirillo