Il 26 ottobre scorso l’approvazione della legge sulla parità retributiva per contrastare il gender pay gap femminile (differenza percentuale tra la retribuzione oraria media di uomini e donne rapportata a quella maschile), che misura quindi quanto le donne guadagnino meno degli uomini, ha sancito l’inizio di un percorso puntuale da intraprendere nella contrattazione aziendale attraverso l’ampliamento delle ipotesi di discriminazione di genere, una richiesta di maggiore trasparenza per le imprese tenute ad adottare il rapporto sulle retribuzioni del personale, l’applicazione di un sistema premiale che incentiva i datori di lavoro a prevenire i potenziali divari retributivi e a promuovere la cultura delle pari opportunità.

Quest’ultimo intervento normativo è un punto di partenza verso l’attuazione effettiva dell’articolo 37 della Costituzione secondo il quale “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore”, ma la cui effettiva attuazione in Italia continua ad incontrare una serie di ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto l’effettiva partecipazione della donna al mercato del lavoro.

Ed è per questo che da ora in poi per “discriminazione indiretta” sul luogo di lavoro si intenderà anche “l’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro” che spesso finiscono per confliggere con le vite concrete delle lavoratrici, specie se madri, e surrettiziamente introducono differenti trattamenti che mettono in una situazione di svantaggio la donna lavoratrice.

Di particolare rilievo è l’estensione dell’obbligo in capo alle aziende pubbliche e private che occupano oltre 50 dipendenti (prima la soglia era 100) di redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile: il ministero del Lavoro pubblicherà nel proprio sito internet istituzionale l’elenco delle aziende che hanno trasmesso il rapporto e di quelle che non l’hanno fatto. Il decreto ministeriale di attuazione disciplinerà anche le modalità di accesso al rapporto da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali dell’azienda interessata, nel rispetto della tutela dei dati personali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria.

La possibilità da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali di accedere ai dati del rapporto sulla situazione del personale consente di rafforzare la tutela contro le discriminazioni ai fini della cosiddetta prova statistica diretta all’accertamento giudiziale della discriminazione e dell’attenuazione dell’onere probatorio che incombe sulla lavoratrice che assume di aver subito una discriminazione ai sensi dell’articolo 40 del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.

Coordinamento Donne della Cisl Basilicata

Di BasNews

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