Il governo italiano si sposta da Roma a Bruxelles? A leggere la bozza di riforma del Patto di stabilità presentato ieri dalla Commissione Europea sembrerebbe di sì. Nel nuovo testo testo – che ora è in fase di discussione tra i paesi membri e potrebbe trasformarsi in una vera e propria proposta legislativa all’inizio del 2023 – si ipotizza infatti che i governi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno concordare un piano con la Ue per ridurre la propria esposizione, di fatto lasciando alla Commissione un potere di commissariamento sulle decisioni di Palazzo Chigi.
Funzionerà così: Roma dovrà presentare un piano col quale spiega come pensa di ridurre il debito nei successivi quattro anni. Il Consiglio europeo lo approverà, mentre la Commissione avrà il compito di sorvegliare che quanto descritto dall’accordo venga realizzato nei modi e nei tempi previsti, altrimenti scatteranno le sanzioni. Sul tema la nota della Commissione è stata esplicita: «Se un paese fallisce, se non rispetta gli impegni, ci saranno più efficaci meccanismi di enforcement per far rispettare il piano, comprese sanzioni fiscali».
Ve lo diciamo in altri termini? Se questo piano verrà approvato nei tempi previsti dal prossimo anno e per tutto il resto di questa legislatura la Finanziaria verrà scritta da Bruxelles. Non pensate poi che sia finita qui: un piano quadriennale non basterà certo all’Italia – che ha un rapporto debito Pil mostruosi, pari ormai al 150% – per scendere sotto la soglia di attenzione del 90%; per farlo ci vorranno probabilmente decenni, durante i quali perderemmo una bella fetta di autonomia nella decisione sull’utilizzo delle nostre finanze.
Era attendibile che le prime perplessità circolassero subito tra i giornalisti, che hanno chiesto a Gentiloni perché governi come quello italiano e greco dovrebbero mandar giù questa “pillola amara”. Il commissario all’Economia ha risposto serafico «Non mi sembra così amara. C’è un equilibrio tra debito e crescita, e c’è più gradualità e flessibilità rispetto al sistema che vige ora».
A sforzarsi di vedere il bicchiere mezzo pieno va in effetti rilevato che il piano di rientro dal debito non si baserà più sulle tempistiche brutali previste dal Trattato di Maastricht, che per il rientro da debito e deficit eccessivi chiedevano per tutti la riduzione di un ventesimo del debito ogni anno e lo 0,5% del disavanzo per il deficit, ma sarà costruito su misura in base alle esigenze particolari di ogni Stato. Tanto è bastato per far insorgere i falchi (noi parleremmo più volentieri di avvoltoi), che considerano la bozza fin troppo morbida: il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovslcis ha detto che fosse per lui il vecchio Patto, basato su principi del tutto superati, andrebbe mantenuto: «Le regole sul debito che ci sono state finora hanno funzionato bene». i tedeschi invece hanno detto che le norme previste non sono abbastanza rigide.
L’avvertimento della Commissione a paesi come l’Italia sembra essere insomma di questo tipo: attenti a fare critiche alla nostra proposta, perché quello che potrebbe arrivare in sostituzione potrebbe essere persino peggio.
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