di Andrea Zhok –
L’altro giorno il presidente Draghi, la sua fida mascotte Di Maio, e l’entourage di ballerine di seconda fila del governo italiano hanno rinsaldato i rapporti di partenariato e buona vicinanza con la Turchia del presidente Erdogan.
Come riporta il sito del governo, con descrizione formale: “Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha co-presieduto con il Presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan il Terzo vertice intergovernativo italo-turco che si è svolto ad Anakara. Dopo la visita all’Anıtkabir, mausoleo di Mustafa Kemal Atatürk e al museo dedicato, il Presidente Draghi ha incontrato il Presidente Erdoğan al Palazzo Presidenziale e preso parte ai colloqui bilaterali tra i ministri italiani membri della delegazione ufficiale e i rispettivi ministri turchi.”
Naturalmente il senso politico di questo incontro è evidente anche ai sassi: si tratta di una mossa di avvicinamento e compattamento con la Turchia, alleato Nato in prima fila quanto l’Italia sul fronte orientale, ora rovente. Si tratta di rilanciare una contingente comunanza di interessi e consolidarla: lo sa Draghi, lo sa Erdogan, lo sa chiunque abbia studiato un po’ di storia.
Dunque cosa c’è di strano?
Non ci sarebbe niente di strano, sarebbe ordinaria Realpolitik internazionale, se non fosse che una parte qui coinvolta, l’Occidente – qui rappresentato dall’Italia di Draghi – , pretende e continua a pretendere ogni giorno di far digerire alle proprie popolazioni un messaggio simmetricamente opposto: che la storia e le nazioni si giudicano innanzitutto moralmente, e che noi occidentali, siamo il popolo eletto che porta il grato onere di questo compito giudicante.
Il problema non è la mossa spregiudicata di legare un alleato ora necessario con vincoli commerciali, vincoli che funzionano in quanto rendono una futura rottura dannosa per entrambi.
No, il problema è che la fiaba che raccontano ogni santo giorno a noi, gregge teledipendente occidentale, è che “noi” ci muoviamo per tutt’altri motivi, motivi morali (e che chi dice altro è una brutta persona, non all’altezza dei nobili ideali che incarniamo).
Com’è che gli USA possono avere quasi mille basi militari ufficiali extraterritoriali (fuori dal loro territorio nazionale, ovunque nel mondo) e tuttavia possono affermare senza vergogna che la Cina, con una singola base militare extraterritoriale, rappresenta una minaccia alla sicurezza mondiale?
Possono farlo perché loro stessi, e per estensione coloniale noi occidentali, non rappresentiamo (ai nostri occhi) per definizione alcuna minaccia, in quanto ci muoviamo sempre solo con motivazioni morali.
Il gregge teledipendente raramente percepisce il carattere di abnorme arroganza e oscena falsità di questo atteggiamento.
Occasioni come l’incontro di ieri tra Draghi ed Erdogan sono tra le poche in cui le scintille generate dall’attrito tra realtà e narrazione risultano visibili ad occhio nudo.
Già, perché sono passati pochi mesi da quando il nostro valente viceré si inalberava paonazzo mosso da incontenibile sdegno contro il “dittatore Erdogan”. Lì stava recitando la parte dell’occidentale buono, moralmente irremovibile, tutto chiacchiere sui diritti umani e distintivo, quell’occidentale che piange per le combattenti curde e si indigna per l’orgoglio ferito della von der Leyen lasciata sul sofà dal maschilismo tossico di Erdogan.
E sulla base di queste fiabe della buonanotte tutte intessute di diritti naturali dell’individuo, emancipazione degli oppressi da dittatori sanguinari, liberazione dei mercati dal comunismo o dal nazionalismo, ecc. che si muovono “con legittimazione democratica” i nostri eserciti in giro per il mondo, massacrando o rovesciando chiunque ostacoli gli interessi del centro di comando politico finanziario USA e dei suoi luogotenenti.
Il problema dunque in fondo è molto semplice. Il blocco occidentale, dopo aver ampiamente dimostrato al mondo nella prima metà del ‘900 il proprio tasso di aggressività bellica, dalla fine della seconda guerra mondiale, in concomitanza con il proprio ritiro dagli imperi coloniali diretti, ha deciso di vestire i nuovi panni dell’Autorità Morale internazionale (metamorfosi del vecchio “white man’s burden” dell’impero britannico).
Questa operazione era in parte obbligata dal dover far fronte alla trasformazione istituzionale dell’Occidente in liberaldemocrazie, luoghi dove ufficialmente bisognava fare i conti con l’opinone pubblica.
Così, da potenza schiavista e coloniale l’Occidente ha voluto trasformarsi in Autorità Morale, che raddrizzava torti e salvava principesse, ovunque nel mondo le telecamere individuassero un grido d’aiuto. Che fosse il grido d’aiuto dei contadini vietnamiti o degli imprenditori cileni, dei cittadini iracheni o delle donne afghane, nessun torto rimaneva inevaso.
Ma i tempi stanno cambiando e un poderoso temporale si affaccia all’orizzonte, e temo che capiremo tutti sin troppo presto quanto odio e quanta rabbia la nostra spettacolare pluridecennale sanguinosa ipocrisia ha suscitato nel mondo.
Fonte: Andrea Zhok
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