di lorenzo merlo
“Questo dato, di per sé piuttosto sorprendente (o forse no), solleva una domanda fondamentale: perché la nostra percezione del rischio è così disconnessa dalla realtà statistica?”
Affidarsi alla narrazione logico-razionalistica del cognitivismo – una specie di sinonimo di affidarsi alla narrazione logico-razionalisica della scienza – è scientismo. In quanto ogni alternativa è classificata dalla narrazione stessa nella sua categoria ciarlatanesimo. Ne viene che ciò che non rientra nel suo autoreferenziale canone scientifico, non esiste, non contiene verità, certamente lo si può tralasciare.
L’accredito di cui gode detta narrazione è tale da divenire effettivamente il solo modo di conoscenza per cui valga la pena battersi. Lo può riscontrare ovunque ci si giri e anche in questo articolo, dal quale è tratto il brano in occhiello. Nel pezzo si fa, tra l’altro, riferimento alla relativa computazione statistica quale hummus dal quale viene alla luce il vero.
(Tra parentesi. Basterebbe prendere in esame il concetto di accredito e arrivare così, lavorandoci, a riconoscerne il potere per constatare quanto il primo sinonimo di narrazione sia incantesimo. Se la verità è nel discorso (Foucault) significa che chi lo segue la riconosce e chi non lo segue, no. Ma anche che chi afferma il discorso lo fa seguendo un inconsapevole – non sempre, vedi il venditore e il manipolatore – filo rosso che gli permette di cucire insieme le parole opportune alla narrazione che desidera realizzare).
(Seconda parentesi. La modalità scientifica, più precisamente quella della meccanica classica e, meglio ancora, quella del meccanicismo non sono da cestinare, in quanto hanno dimostrato di essere un criterio/strumento eccellente per maneggiare la pragmatica della vita. Tuttavia, a questa celebrazione va affiancata la riduzione del suo assolutismo, che guida il pensare e le relazioni, in quanto in contesto relazionale, appunto, ed evolutivo è peggio di un elefante in cristalleria. Disastrosa e necessaria conseguenza di quella pretesa di dominio culturalmente estesa a tutti i contesti umani. In sostanza, concepire l’uomo e le relazioni come esauribili sul piano razionale è un intento – inconsapevole, in quanto la scienza, cui ci si affida, non è in grado di portarlo alla consapevolezza – le cui dinamiche sono identiche a quelle dell’esportazione della democrazia e, naturalmente a tante altre, incluso il non hai ancora capito? Te l’ho già detto due volte!)
Dunque, l’inconsapevole fideismo nei confronti della cosiddetta scienza, si fa vanto del cosiddetto sapere al quale, a mezzo di essa, può accedere. Tuttavia, contemporaneamente taglia fuori dalla verità tutta la conoscenza che è già in noi, nel corpo, nella riflessione, nell’osservazione, nella contemplazione, nella meditazione, nell’amore. Tutti territori che non stanno sotto il microscopio dello scientista o che lo scientista evita di porre sul vetrino anche per timore di dover rivedere tutto il suo impianto di pensiero.
Impianto che fa girare un sistema ben preciso che, come detto, ha la sua epistemologia nelle autoreferenziali regole – anch’esse inconsapevoli e inconsapevolmente assunte come assoluta verità – che la scienza si è data e che, necessariamente, estromettono dal campetto di gioco, che gli adepti chiamano conoscenza. A ben guardare si tratta di un modo di intellegere il mondo sovrapponibile a quello che soggiace al razzismo.
In merito al regolamento da rispettare per poter accedere e giocare al gioco dei saperi scientifico-meccanicisti, si tratta di configurazioni assolutamente fondate su altri due culti occulti: quello della supremazia della logica – ma sarebbe opportuno dire del logicismo – e quello del razionalismo.
Si tratta di due caposaldi indiscussi e indiscutibili – secondo gli scientisti – alberi maestri del vascello in rotta verso i lidi della Verità. Dove, una volta in banchina, vedere capitani e nostromi sbracciarsi per annunciare al mondo la rotta da seguire.
E tutti, affinché la conoscenza possa sottrarci dall’ignoranza e illuminarci la strada del benessere, a imitarli.
“I modelli tradizionali di utilità attesa spesso trascurano il ruolo delle emozioni, ma è chiaro che queste giocano un ruolo cruciale nelle nostre decisioni, soprattutto in situazioni di incertezza”.
Anche quest’altro brano è estratto dall’articolo citato. Mette in causa le emozioni. Bello! Verrebbe da dire soddisfatti, finalmente va oltre le regolette della scienza. Invece è una fregatura, e anche piuttosto pesante.
Le emozioni che cita, per quanto funzionali all’esistenza, restano per l’autore un problema in quanto non ancora ridotte a dati computabili dagli scienziati. È in questo l’agguato scientista, che tradotto corrisponde a: affinché l’uomo possa essere previsto e lui possa prevedere l’intera realtà. È in questo epilogo il mostruoso figlio dello scientismo.
La scienza con la sua foga analitica non avrà mai accesso alla verità che l’intero di un’emozione invece riferisce.
La domanda è: verrà mai il giorno in cui le emozioni, invece di essere qualcosa da superare diventeranno qualcosa da rispettare, per poi, da quel momento, avviare un processo di conoscenza il cui culmine possa portare a una vita differente da quella computabile dei dottori in amministrazione della vita?