Nel provvedimento si afferma che è imperativo fermare l’offensiva per evitare la “distruzione parziale o totale” dei palestinesi, cioè la fattispecie che configura esattamente il più nefando dei crimini di guerra.
“La Corte ritiene che, in conformità con gli obblighi previsti dalla Convenzione sul genocidio, Israele deve immediatamente fermare la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah, che può infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero provocarne la distruzione fisica, totale o parziale”. Questo il passaggio chiave del provvedimento emanato ieri dalla Corte internazionale di Giustizia dell’Aia in risposta alla sollecitazione del Sudafrica che chiedeva di fermare l’attacco a Rafah.
Il provvedimento della Corte, cui compete dirimere in merito al più grave dei crimini di guerra, accogliendo la richiesta del Sudafrica di ordinare a Israele uno stop alle operazioni militari a Rafah per prevenire un genocidio, si è espresso con chiarezza: se Israele persevera, come sta facendo, è genocidio.
Peraltro, nel provvedimento si afferma chiaramente che è imperativo fermare l’offensiva per evitare la “distruzione parziale o totale” dei palestinesi, cioè la fattispecie che configura esattamente il più nefando dei crimini di guerra.
Genocidio, non flatus vocis, ma il giudizio della Storia
Israele, i suoi alleati, i suoi corifei e tanti analisti battono sulla inutilità del pronunciamento dell’Aia, dal momento che non fermerà la campagna israeliana, com’era peraltro ovvio, e che la Corte non ha mezzi propri per rendere esecutivi i suoi provvedimenti, aggiungendo che comunque gli Stati Uniti porranno il veto a tutte le iniziative che l’Onu potrebbe essere chiamato a prendere per ottemperare al mandato della Corte (che delle Nazioni Unite è una emanazione).
Il provvedimento, quindi, non farà scattare sanzioni collettive conto la nazione reproba, né tantomeno darà forma a un intervento internazionale sul modello di quello scattato, per molto meno, contro il governo di Saddam Hussein. Da questo punto di vista, sarebbe un inutile flatus vocis, secondo i suoi detrattori e tanti analisti in buona o cattiva fede.
Vero, ma ieri ha parlato la Storia. E dal momento che Israele persevera, da oggi quanto si sta consumando a Rafah si configura come un genocidio. La nazione che ha nel genocidio il suo tratto generativo, un fondamento incancellabile della sua dolorosa storia, sta compiendo un genocidio sotto gli occhi del mondo.
Prima di ieri tale definizione poteva esser rigettata come propaganda e rigurgito antisemita, da oggi tale difesa non ha più alcuna credibilità, alla stregua della negazione del genocidio armeno, vigente nella sola Turchia (e non in tutta).
Tutto ciò a causa alla cecità del governo israeliano, che ha fatto di tutto per arrivare a questa nefasta svolta, ignorando tutti gli avvertimenti dei suoi alleati. Non è una nostra considerazione, ma quanto rilevava Yossi Verter su Haaretz in una nota dedicata alla richiesta di un mandato di arresto contro il premier israeliano avanzata presso il Tribunale penale internazionale: “La ‘vittoria totale’ [su Hamas, brandita da Netanyahu ndr] si è trasformata in totale disfatta diplomatica e internazionale. Nessuno è responsabile di ciò se non il governo con la sua condotta sciocca e criminale”.
Non commentiamo ulteriormente, rimandando il commento a una nota successiva.
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