Li hanno chiamati i Re Magi. Hanno portato i loro doni a Zelensky. Ma quali doni da parte di Macron, Draghi e Scholz? Il cancelliere tedesco ha “regalato” gli aiuti per la ricostruzione, il premier italiano il sì all’adesione alla Ue, il presidente francese l’incitamento a negoziare. Tutto, ovviamente nel nome e nel segno della solidarietà, dell’umanitarismo mediatico.
Da notare le loro facce, contrite quando sono stati accompagnati a vedere le malefatte russe sul campo di battaglia; sorridenti e conviviali sul treno blindato, quando hanno amabilmente conversato.
Ma in realtà Zelensky non è soddisfatto. Conosce benissimo la differenza tra le parole e i fatti, a cominciare da lui stesso che applica alla lettera le regole della nuova comunicazione (l’eterno set cinematografico).
Ed ecco la verità dietro la propaganda, ad uso e consumo delle masse: Berlino gioca sulla difensiva perché sotto accusa da tempo; Roma straparla, come ribadisce Giampiero Gramaglia, in un pregevole articolo su il Fatto Quotidiano, tanto né paga, né decide lei. Parigi agita il bastone e la carota. Da un lato, ripete come un mantra che Kiev deve riprendersi la Crimea, offre armi e dall’altro, ha già detto che bisogna sedersi al tavolo dei negoziati.
E poi lo scaricabarile: Macron ha aggiunto che “spetta all’Ucraina definire la vittoria militare”. Tradotto, noi ti aiutiamo, fino a un certo punto. Se vuoi continuare, come sembra, te la cavi da solo. Ti assumi la responsabilità dei missili e delle armi moderne che ti mandiamo, dei morti, della distruzione totale del paese. Insomma, l’Ucraina resta col cerino in mano, nonostante gli appelli e i comizi fatti al mondo.
L’Occidente a guida Usa non fa niente a caso: vernicia di ideologismo democratico e libertario, solo i propri interessi economici, finanziari e in questo caso, anche militari ed energetici.
Zelensky l’ha capito? Un pericoloso segnale glielo sta dando perfino il leader del “partito guerrafondaio” per eccellenza, che risponde al nome di Biden. Che ha placato di molto la sua verve bellicistica, polemizzando in un’occasione addirittura col suo pupillo di Kiev. Altro segnale altrettanto pericoloso, la disponibilità di Johnson a sostituire Biden nella lotta finanziata di resistenza patriottica.
Che differenza tra la missione farlocca dei tre Re Magi e il discorso geopolitico futurista di Putin al Forum economico, tenutosi a San Pietroburgo: “Il mondo a guida Usa è finito”. Sulla guerra è stato chiaro: “Raggiungeremo gli obiettivi nel Donbass”. E su noi pure: “L’Europa non è più sovrana, ci saranno radicalismi e il cambio delle élite”. E rivendica: “Le sanzioni non hanno funzionato, la Russia è forte”.
E la conclusione grottesca rispetto all’enfasi di Draghi è il commento quasi ironico sull’ingresso dell’Ucraina nella Ue: “Non ci opponiamo all’Ucraina nell’Ue”. Vanificando le intelligenti e superiori strategie dei nostri. Strategie che pagheremo come cittadini a suon di tasse: l’entrata dell’Ucraina nella Ue comporta la condivisione dei finanziamenti indirizzati a quel paese. E come saranno rimborsati i 600 miliardi di dollari previsti, secondo precisi studi? Dal fisco.
E’ proprio vero, la guerra la prima volta è un dramma, la seconda volta è una farsa. Meno per le vittime innocenti.
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