L’imperatore Caligola voleva fare senatore e forse addirittura console il suo cavallo Incitatus cui era riservata una stalla fatta di marmo, ma non era affatto pazzo, voleva semplicemente ridicolizzare le istituzioni  repubblicane che erano rimaste intatte nella loro forma nonostante fossero ormai prive di potere reale. Dopo quasi 2000 anni ci ritroviamo nella medesima situazione, ma purtroppo con un’inversione della celebre frase di Marx secondo cui la storia si ripete prima come tragedia e poi come farsa: se la presa in giro di Caligola poteva essere burlesca, la comparsa di Kamala Harris quale contendente per la reggenza dell’impero, è un dramma che si è squadernato stanotte nell’atteso dibattito con Trump. Certo la signora, ancorché nitrisca più che ridere, non è un cavallo, ma sembra fatta per avere le redini: in circa 100 minuti di dibattito non è stata in grado di dire nulla se non attribuire a Trump la colpa delle azioni compiute da Biden e da lei come vicepresidente. Del futuro assolutamente nulla e men che meno un programma coerente.

L’esultanza della stampa coloniale e di obbedienza feudale  deriva unicamente dal fatto che sia stata in grado di articolare alcune frasi consecutive, una novità assoluta per lei, ma il tutto è parso ciò che realmente era: imparaticcio mandato a memoria oppure erratico mentre le uniche cose  alle quali si è aggrappata sono state l’aborto e la gioia. Tutto il resto è stato uno spezzatino di dichiarazioni che non sembrano entrare in un puzzle che restituisca un’immagine coerente. Insomma per chiunque abbia un minimo di naso è stato abbastanza evidente che l’unica vera qualità di Kamala è di non avere idee proprie, ma di essere disposta ad implementare fedelmente  qualsiasi cosa le oligarchie vogliano. È la candidata del “più o meno la stessa cosa”, quella – tanto per fare un esempio – che ora dice di non voler vietare le armi perché è lei stessa proprietaria di armi o quella che che ha cambiato idea sul fracking e sul Medicare per tutti. Ma lo fa perché è pragmatica dice Bernie Sanders. Qui però ci troviamo di fronte a una campagna completamente vuota che segue solo e soltanto i sondaggi.

A questo dobbiamo aggiungere che Trump ha espresso un abbozzo di programma che non differisce molto da quello del 2016: qualche boccone per i conservatori, un po’ di follia economica per i libertari, qualche idea qui e là che sembra fatta per essere dimenticata il più in fretta possibile. In genere ha espresso una posizione un po’ isolazionista in politica estera con qualche accenno alla multipolarità e un ritorno alla manifattura, ma la mia impressione è che ci sono poche possibilità che qualcosa di tutto ciò venga davvero realizzato se dovesse vincere le elezioni. Anche perché – e questo valga pure per Draghi e il suo delirante piano – le economie finanziarizzate non si possono facilmente riconvertire alla manifattura e più in generale alla produzione reale: per farlo dovrebbero scrollarsi di dosso proprio tutta la filosofia economica prodotta da draghi e draghetti negli ultimi 50 anni che poi ha prodotto il potere delle oligarchie di comando e il maneggio da cui escono fuori i vari cavalli della politica.

Tralascio la polemica sui cani e sui gatti mangiati dagli haitiani che vivono clandestinamente in qualche zona degli Usa: con il mondo in fiamme proprio a causa di questo impero che declina, ma che non vuole lasciare la presa sull’intero pianeta tutto ciò acquisisce un carattere sinistro e farsesco che di per sé denuncia il fallimento dell’occidente globalista e ancora di più la difficoltà di evitare l’armageddon finale grazie a una visione della società e del futuro radicalmente diversa. Si va avanti a tentoni senza avere alcuna bussola se non quella che segna il globalismo e le sue prescrizioni di disuguaglianza sociale come proprio Nord.

fonte:

Di BasNews

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