La politica italiana è decifrabile anche quando appare incomprensibile. L’ultimo caso è quello dello “ius scholae”, approdato all’esame dell’Aula della Camera tra prepotenti squilli di tromba, allegre fanfare e risoluti annunci di guerra. Si profila un temporale estivo, forse addirittura un tormentone. Di certo assisteremo a un braccio di ferro tra “campo largo” da una parte e centrodestra dall’altra sul tema della cittadinanza ai figli minorenni di immigrati residenti in Italia.
Domanda: che bisogno c’è, in questo momento drammatico, con l’inflazione galoppante, con la guerra incombente, con il gas scarseggiante e con i fiumi in secca, che bisogno c’è di scatenare una bagarre politica su una questione, magari anche moralmente significativa, ma del tutto irrilevante rispetto alle urgenze di questi ultimi mesi di legislatura? La risposta è semplice: nessuno.
Eppure questo arcano contiene una sua spiegazione, tutta politica: la necessità di dare inizio alla campagna elettorale. In questo caso è la parte sfavorita (solo però sulla carta), cioè il “campo largo”, che compie la prima mossa. Per Enrico Letta prendere l’iniziativa sullo “ius scholae” vuol dire mettere a segno un punto «contro il populismo» e in vista della costruzione del «nuovo Ulivo». È una sorta di chiamata alle armi per tutto il fronte che si dovrà opporre al centrodestra.
Un appello che vede sulla stessa linea anche il M5S. Non per niente, autore della proposta di legge è il presidente pentastellato della Commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia. Particolare divertente, ma significativo: nella scorsa legislatura, nel 2015, fu proprio il M5S a far naufragare, con il suo astensionismo in Senato, un analogo provvedimento che era stato approvato in prima battuta dalla Camera. Questo tanto per dire della “coerenza ideale” dei pentastellati, che si muovono in realtà secondo la propria convenienza politica.
La questione dello “ius scholae” è un po’ come quella del salario minimo: nella sostanza serve a poco, ma è utile sia al Pd sia al M5S per dare una parvenza di coerenza ideologica a un’alleanza per altri versi problematica e improbabile, come ha ben capito quel caratteraccio di Carlo Calenda.
Sul fronte opposto, Lega e FdI preparano le barricate. Salvini alza addirittura il tiro sull’esecutivo Draghi: «Incredibile, vergognoso e irrispettoso per gli italiani. In un momento di crisi drammatica come questo, la sinistra mette in difficoltà maggioranza e governo insistendo su cittadinanza agli immigrati e cannabis anziché preoccuparsi di lavoro, tasse e stipendi». Analoga durezza arriva da FdI, che ha già votato contro, in Commissione parlamentare (insieme con la Lega), al passaggio in Aula della proposta e che ora, per bocca di Fabio Rampelli, parla di «ius soli mascherato».
Più sofferta la posizione Forza Italia, che i giornali definiscono «spaccata». Antonio Tajani non si dice contrario al principio dello “ius scholae”, ma poi pone tanti se e tanti ma alla proposta Pd-M5S che lascia intendere un no di FI al provvedimento. È evidente il tentativo del coordinatore di Forza Italia di distinguersi da FdI e Lega. E ciò al fine di gratificare i settori del suo partito più sensibili ai forti richiami neocentristi di questa fase. Nello stesso tempo però, con i suoi distinguo sull’iniziativa della sinistra, Tajani dimostra di non voler aprire un fronte polemico con gli alleati del centrodestra. Una prova di equilibrismo davvero encomiabile. E faticosa.
Al di là dei tormenti forzisti, rimane il fatto che il tema dello “ius scholae” sembra fatto apposta per fomentare gli istinti bellicosi delle opposte tifoserie ideologiche. Quanto di meglio si richiede all’inizio di una campagna elettorale. O no?
Ma che cosa prevede in definitiva questa proposta di legge? E perché una sua eventuale approvazione non sarebbe necessaria né urgente? Il principio è quello di consentire ai ragazzi originari di altri Paesi, che siano nati in Italia o che siano arrivati nel nostro Paese prima dei 12 anni di età, di conseguire la cittadinanza italiana dopo aver compiuto almeno un ciclo scolastico di 5 anni. La nostra legislazione sulla cittadinanza, incentrata sullo “ius sanguinis” (il diritto che deriva dalla cittadinanza dei genitori) prevede che il figlio di immigrati possa chiedere di diventare cittadino italiano solo al raggiungimento della maggiore età.
Si tratta in effetti di una normativa piuttosto rigorosa e restrittiva. Non appare però questo il momento più adatto per modificarla. Innanzi tutto perché l’esperienza dei Paesi europei che adottano un legislazione più larga della nostra dimostra che la “cittadinanza facile” non si è finora rivelata un efficace strumento di integrazione. Pensiamo soltanto al caso della rivolta scoppiata qualche anno fa nelle banlieue parigine. Molti figli di immigrati, anche se parlano il dialetto delle nostre città, non si sentono “italiani”, soprattutto se appartenenti a famiglie che professano la religione musulmana. In questa situazione, rimane quanto mai opportuno mantenere il principio che la cittadinanza, per un giovane immigrato, deve essere il frutto di una scelta consapevole.
In secondo luogo, piaccia o non piaccia, adottare lo “ius scholae”, equivale di fatto a introdurre il principio dello “ius soli”. Si tratterebbe di un mutamento di indirizzo in una materia importante come la cittadinanza che richiederebbe un dibattito più serio e approfondito rispetto a quello che può scaturire da una scontro ideologico in funzione elettorale. Certi argomenti non si affrontano quando le urne si avvicinano.
Vale la pena di osservare, a chiosa, che tutto questo putiferio si sta scatenando proprio mentre il premier Draghi è in giro per l’Europa per partecipare a vertici internazionali (dal G7 alla Nato) nei quali si decide il nostro futuro prossimo venturo.
L’effetto buffo, anche se non voluto, è quello di una classe di giovinetti e giovinette che prende a fare baccano approfittando della temporanea assenza del professore. In questa occasione è accaduto che il chiasso causato dagli onorevoli discoli è arrivato fino a Madrid e Mario Draghi è stato costretto ad abbandonare anticipatamente il vertice dell’Alleanza atlantica per tornare precipitosamente a Roma.
Comunque la mettiamo, la politica non ci fa una bella figura. E poi si lamentano se la gente diserta le urne.
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