La Cgil ha urlato al lupo e il paese è andato in tilt. Basta una nota, un comunicato scarno, per mandare nel panico migliaia di lavoratori: “Aumento dei requisiti pensionistici senza trasparenza”, tuona il sindacato. E giù numeri, previsioni fosche, accuse. Dal 2027 ci vorranno 43 anni e un mese di contributi per la pensione anticipata, dal 2029 si arriverà a 43 anni e tre mesi. Per la vecchiaia, l’età minima salirà a 67 anni e 5 mesi. Un colpo di teatro, o forse un colpo basso, che cade come una pietra su un sistema già incrinato.
L’Inps, da parte sua, ha provato a spegnere l’incendio: “Non ci sono nuovi requisiti, tutto resta come previsto dalle tabelle ufficiali”. Ma la toppa arriva troppo tardi. La politica si è già accesa, trasformando un sospetto in una guerra di parole. Andrea Orlando, Pd, non si fa pregare: “Il Governo Meloni tradisce gli italiani, altro che abolire la Fornero”. Claudio Durigon, Lega, risponde stancamente: “Nessun aumento, e comunque vigileremo”. Siamo al solito gioco delle parti.
Il punto è che la Cgil, con il suo grido d’allarme, ha scelto la strada del dramma, senza avere in mano vere certezze, se non previsioni basate su dati interpretati. È una mossa studiata: se l’Istat prevede un aumento della speranza di vita, il sindacato lo usa come arma politica (anche se ciò, ribadiamolo per i lavoratori, non implica un cambio di passo obbligato), agitandolo come una bandiera del disastro imminente. E poco importa che l’Inps neghi tutto. Il messaggio è già arrivato: il sistema pensionistico è un labirinto, i lavoratori sono lasciati soli a cercare la via d’uscita.
Ancora una volta, ci si muove nella nebbia, dove contano più i proclami che i fatti. Il risultato? Incertezza, sfiducia, e una rabbia che monta senza trovare risposte. È stato scoperchiato un vaso di Pandora, ma quello speriamo non rimanga il solito vuoto, riempito da slogan urlati.
di Marco Pugliese
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