Al di là della sfilata commemorativa ed enfatica, proviamo a decodificare le parole del presidente russo Vladimir Putin nella Giornata della Vittoria, sapendo perfettamente che si tratta, come per quanto riguarda l’Europa, la Nato, Biden e Zelensky, di pura propaganda.
Ebbene sì, questa è una guerra non solo militare, economica, informatica, ma anche e soprattutto mediatica. E non sapremo mai la verità. Forse la conosceremo tra 20 anni, a giochi fatti, in un senso o nell’altro.
Putin ha assicurato che “come nel 1945, la vittoria sarà nostra”, paragonando la guerra in Ucraina alla seconda guerra mondiale. Lo abbiamo letto nel sito del Cremlino come ha riportato la Tass. “Oggi i nostri soldati, come i loro antenati, stanno combattendo fianco a fianco per la liberazione della loro terra natale dalla feccia nazista, con la certezza che, come nel 1945, la vittoria sarà nostra”.
Tradotto: nessuno spazio al momento per un eventuale negoziato, ma la conferma di una guerra di liberazione dai nazisti, che come noto, quando combattono dalla parte giusta, sono legittimati dai loro nemici occidentali. Altro che processo di Norimberga. Prova ne sono i ripetuti filmati e le continue interviste agli esponenti del Battaglione Azov (mogli comprese), asserragliati nelle acciaierie di Mariupol, diventati simbolo eroico della resistenza patriottica ucraina.
Una guerra di liberazione che non deve conoscere soste, ma che continuerà fino alla fine. Costi quel che costi. Un no deciso, quindi, alla diplomazia e al tavolo che dovrebbe vedere la Russia seduta al tavolo insieme a Zelensky, che ha già annunciato la possibile cessione della Crimea (suscitando la reazione indispettita della Nato). Cessione che Mosca non considera affatto. Il suo obiettivo è conquistare tutto il Donbass e finire alla grande la guerra. Nonostante la mancata presa di Kiev.
“Quest’anno – ha sottolineato Putin – in occasione del 77esimo anniversario l’evento assume un significato speciale, visto che il Paese è impegnato in una sanguinosa guerra in Ucraina”.
In queste parole c’è una prima ammissione della difficoltà bellica. Che non è andata secondo le aspettative iniziali.
Una guerra che Putin non avrebbe voluto. “Ho cercato letteralmente fino all’ultimo di non provocare il potenziale aggressore, che non ha compiuto o ritardato le azioni più necessarie e ovvie in preparazione per respingere l’attacco imminente”, e ciò ha portato al fatto che le azioni intraprese alla fine sono state “disastrose perché compiute a tempo scaduto”. Una giustificazione retrospettiva, dunque, dell’azione preventiva di cui Putin ha parlato.
Per il resto la parata ha solamente avuto un tono muscolare: coinvolti 11mila tra ufficiali, sergenti, soldati, cadetti, membri del movimento giovanile Yunarmiya, unità del ministero delle situazioni di emergenza, della Guardia nazionale russa e degli agenti di frontiera dell’Fsb. E 33 colonne in marcia. Coinvolte anche 131 unità di armamenti ed equipaggiamenti, 77 aerei ed elicotteri.
Insomma, una prova di forza che tanto forte non è.
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